La pazzia europea e, sorpresa, la normalità della nuova Italia

Più la guardi, l’Italia, più la metti a confronto con il resto d’Europa e più, per la prima volta da molti anni a questa parte, non puoi non pensare, per un istante, che per una volta la normalità sia italiana e la pazzia europea. Le elezioni della scorsa settimana, se ci si pensa un istante, hanno contribuito ad amplificare il divario che esiste tra il nostro paese e i grandi d’Europa. In Germania, lo avete visto, solo un elettore su tre ha votato per i partiti che si trovano al governo. In Francia, lo avete visto, il partito d’opposizione, il Rassemblement National, ha doppiato il partito che guida il paese, e mentre i lepenisti hanno superato di poco il 31 per cento, la lista macroniana si è fermata al 14 per cento. Risultato: elezioni parlamentari convocate per la fine del mese. In Spagna, ancora una volta, i popolari vincono le elezioni, come era successo alle politiche, e ricordano ai socialisti di Sánchez che guidare il proprio paese dall’alto di un governo raffazzonato – i socialisti sono alleati con piccoli partitini, tra cui gli indipendentisti della Catalogna – non è il massimo ed è, dal punto di vista dei popolari, una vergogna.

 

In Austria, l’estrema destra del Fpö, seppure di pochi voti, ha vinto le elezioni, superando i partiti tradizionali. In Belgio, dopo le elezioni, il premier liberale si è dimesso e ha lasciato la politica. In Inghilterra, il premier Sunak ha scelto di anticipare il voto, e se gli inglesi riusciranno a trovare una stabilità dopo il 4 luglio non sarà, come è stato nel passato, un elemento di normalità ma sarà un elemento eccezionale considerando il numero impressionante di governi avuti negli ultimi anni dal Regno Unito (Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak: quattro in quattro anni, dal 1990 al 2010 erano stati tre in vent’anni). E in fondo, se ci si pensa ancora, osservando i volti che hanno animato il G7 in Puglia, tutti i leader dei più grandi paesi del mondo sono arrivati a Borgo Egnazia piuttosto acciaccati. Joe Biden è in piena campagna elettorale e la sua sedia scricchiola. I consensi del primo ministro conservatore giapponese Fumio Kishida hanno raggiunto il minimo storico. Il consenso del premier canadese Justin Trudeau è a picco e tra meno di un anno il Canada andrà al voto. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è in crisi nera, crisi di consenso, di leadership, crisi economica, e la Germania si muove già pensando al dopo, al dopo elezioni che ci saranno a settembre del prossimo anno. Di Sunak abbiamo già detto. Di Macron anche. Più ci si guarda in giro per l’Europa, e in giro per il mondo, più si ha l’impressione che in un mondo che cambia, in un’Europa che traballa, in un G7 in cui i leader sono appesi a un filo, l’unico paese incredibilmente stabile, inaspettatamente robusto,  sorprendentemente saldo è uno ed è quello meno prevedibile: l’Italia.

 

In Europa, i partiti di governo si indeboliscono, ovunque o quasi, in Italia i partiti di governo si rafforzano: tutti, nessuno escluso. In Europa, le socialdemocrazie si indeboliscono e, salvo rari casi come la Spagna, lasciano il campo alle forze più estremiste di sinistra, in Italia i partiti populisti di sinistra arretrano, tranne Avs, e i partiti tradizionali di sinistra migliorano, conquistano voti e li rubano anche ai partiti populisti. In Europa, il bipolarismo tradizionale è messo a repentaglio dalla crescita dei partiti anti sistema, vedi la Germania, in Italia il bipolarismo, dopo anni di debolezza, sta tornando ad affermarsi. Se si guarda alla nuova Italia, per quanto poco si possa amare chi si trova al governo o chi si trova all’opposizione, non si potrà non notare lo stato di grazia che  sta vivendo il nostro paese. Governo stabile, maggioranza stabile, opposizione che si riorganizza, presidente della Repubblica che gode di consensi trasversali, disoccupazione in diminuzione, occupazione in aumento, inflazione in diminuzione e crescita in miglioramento costante nonostante un debito in crescita ma tenuto per quanto possibile sotto controllo. Più si guarda all’Italia e più si ha l’impressione che il nostro paese viva uno stato di grazia inaspettato che suscita due sensazioni uguali e contrarie. Da un lato, ovviamente, una sensazione di sollievo. Dall’altro, di impazienza e frustrazione. Meloni non ha avversari interni, non ha avversari esterni, ha un’economia che non le crea problemi, ha un’Europa che non le è ostile, ha un’amministrazione americana che la supporta, ha investitori che guardano all’Italia con speranza e di fronte a tutto questo è inevitabile che il governo Meloni sia destinato a entrare in una nuova fase all’interno della quale non vi sono più alibi per sbagliare, per governare male, per non osare, per non fare tutto il necessario per far andare l’Italia alla giusta velocità di crociera. Non sarà più tollerabile, dunque, vedere il governo traccheggiare quando si tratterà di far viaggiare velocemente il Pnrr, di risolvere con urgenza i problemi della rete unica, di intervenire con prontezza su Ilva, di tagliare la spesa per abbassare le tasse, di incardinare le leggi che riguardano la riforma della giustizia, di stanziare sull’innovazione e la ricerca qualcosa in più del misero 1,6 per cento del pil, di allargare la propria classe dirigente per superare la stagione della mediocrità di sistema, di competere con il resto dei paesi europei sul tema del venture capital, di ritoccare la legge sul premierato in modo da evitare di andarsi a far male con un referendum e di lavorare affinché l’Italia, con i nuovi equilibri, possa contare a Bruxelles, possa frenare gli estremismi, possa lavorare per avere un’Europa in grado di rafforzare se stessa anche per rafforzare l’Italia (non è un caso che il paese maggiormente penalizzato in Borsa all’indomani del disastro elettorale francese sia stato l’Italia: più diminuiranno le possibilità dell’Europa di crescere, di integrarsi, e più aumenteranno i guai dell’Italia). Meloni non ha nemici, ha gli astri allineati, ha un aiuto economico dell’Europa che permetterà all’Italia nei prossimi anni di crescere nonostante i suoi peccati in tema di salari, di produttività, di concorrenza e di efficienza del sistema e da oggi in poi scaricare su qualcun altro i problemi che potrebbe avere l’Italia sarà difficile perché le elezioni europee, se mai fosse necessario farlo, confermano che l’unico avversario di Meloni si chiama Giorgia.
 

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