Vincere con Bellingham è facile. Con Francia e Ucraina a Euro 2024 arriva anche la (geo)politica

Il punto.  Quarto giorno di Europei ancora senza grosse sorprese. Vince l’Inghilterra contro la Serbia senza nemmeno grossi incidenti da segnalare dopo tanto allarme, vince anche l’Olanda, in rimonta sulla Polonia. C’è il primo pareggio tra Slovenia e Danimarca. È il giorno dell’esordio della Francia, dell’Ucraina, è il giorno in cui il calcio si fa un serio argomento di discussione anche sul mondo.
 


Il pastone, nel linguaggio giornalistico, è – dice la Treccani – un “servizio che riporta i fatti politici del giorno insieme con dichiarazioni e informazioni”. Per ogni giorno dell’Europeo di Germania, dall’esordio fino alla finale, qui ci saranno i fatti del giorno. Quelli seri e quelli no. Quelli del campo, quelli degli spalti, quello che c’è intorno. Questo, insomma, è il Pastone Tedesco.


Vincere con Bellingham è facile, bere birra “moscia” no

Quando una partita conta, alla fine, solo dieci tiri in porta, ma almeno uno è di Bellingham, allora hai vinto. Buon per l’Inghilterra, che ha un problema che non pochi possono permettersi: ha una quantità tale di calciatori di alto livello da essere in difficoltà per non sbagliare la formazione, il modo di mescolarli, l’assetto, i compiti. Se Southgate gira la testa verso la panchina, trova almeno quanti titolari ci sono in campo. Ok, con la Serbia non è stata facilissima, ma tutto è meglio di bere birra al massimo al 2,8%, così come hanno stabilito per ordine pubblico. C’è stato, a questo proposito, un grande momento di giornalismo investigativo: un giornalista del Sun l’ha assaggiata a favore di telecamere, se l’è passata da una guancia all’altra come fosse un sommelier e, poi, l’ha sputata. Non la storia della televisione, ma un momento di verità.

 

Eriksen non finisce mai

Quando vi chiedono perché amate il calcio, raccontate di Eriksen. Raccontate di quel giorno di tre anni fa, all’Europeo in Inghilterra, in cui un infarto stava per farlo morire in campo. In cui i suoi compagni di squadra si misero in protezione, lo circondarono di speranza e di discrezione, mentre arrivavano i soccorsi. Raccontate di come tutti, in quel momento, erano bloccati davanti alla tv o sugli spalti a invocare il dio del calcio perché lo salvasse, come la ripartenza sia stata lenta, come tutto sia tornato a posto un po’ per volta senza che nessuno dimenticasse mai ciò che aveva visto. E poi raccontate che il 16 giugno del 2024, tre anni e quattro giorni dopo, Eriksen è tornato in campo per un Europeo e dopo diciassette minuti ha segnato, e tutti ci siamo guardati pensando al miracolo. Sì, c’è una grande mano che scrive le storie del pallone e le rende bellissime. Si guardasse il risultato (poi la Slovenia ha pareggiato, la prima “x” del torneo) sarebbe una favola dal finale infelice, ma il calcio ha proprio questa forza: il risultato non c’entra mai.

 

Weghorst non lo vedono mai arrivare

Vi ricordate Olanda-Argentina dei Mondiali in Qatar? Se avete un vuoto di memoria siete colpevoli, ma vi perdono e ve lo ricordo: l’Argentina vinceva due azero, sembrava tutto finito da un pezzo, soprattutto con il secondo gol segnato da Messi al 73’. Ma al 78’ Van Gaal, preso di mira per l’intera partita da Messi, decise di mandare in campo Wout Weghorst e accadde qualcosa di incredibile: doppietta dell’attaccante, all’83’ e al 101’, che a sua volta litigò con Messii. Poi i rigori, la vittoria dell’Argentina, l’esultanza polemica di Messi verso tutti gli olandesi (una storia di proclami della vigilia), la rissa. Ieri, nell’esordio dell’Olanda con la Polonia, quando tutto stranamente sembrava andare verso il pareggio che già era una rimonta per gli olandesi è arrivato Weghorst, di nuovo all’83’. Il dato impressionante, anche questa volta, è che era entrato in campo appena due minuti prima ed era il primo pallone che toccava. Insomma, finché non è finita, meglio stare attenti a lui. Perché ho messo “non lo vedono arrivare” nel titolo? Perché di certo lui ha un effetto sorpresa, un po’ il senso della frase lanciata tempo fa nella dialettica politica, ma soprattutto perché visto l’uso successivo ormai se non usi questa forma non sei nessuno.

 

La Francia, il voto, Mbappè, Thuram, la neutralità

È impossibile separare il calcio dal mondo, è un discorso quasi banale nel giorno in cui fa il suo esordio l’Ucraina. Ma per il momento parliamo di altro, della Francia inghiottita dal caos post Europee, dalle elezioni indette da Macron, dalla Le Pen che vince e che può vincere ancora. I calciatori sono sotto pressione anche per questo, più volte all’inizio hanno ricevuto domande che si legavano al periodo politico e hanno provato a dribblare: “Siamo concentrati sul campo, vogliamo parlare solo di quello”, le prime risposte. Poi è arrivato Dembélé, a fare un appello perché i francesi vadano a votare (e, con gli altri, perché la Federcalcio francese permetta di votare anche ai calciatori ora impegnati in Germania), poi si sono allineati Giroud e Pavard. Fuoco alle polveri quando è spuntato Marcus Thuram, che ha ereditato dal padre anche la voglia di prendere posizione. L’ha presa, forte. Gli hanno chiesto cosa pensa del possibile arrivo del Rassemblement National, il partito di Le Pen e Bardella, al potere, si è fermato e ha affondato: “Dobbiamo andare a votare e lottare tutti affinché il Rassemblement National non vinca. Capisco i compagni che al momento non si esprimano, ma la situazione è grave e credo che tutti nello spogliatoio condividano il mio appello”. La Federcalcio francese un po’ ha frenato, chiedendo di evitare pressioni e strumentalizzazioni politiche del momento e della Nazionale e ribadendo la neutralità dell’istituzione e della rappresentativa francese. Prima che arrivasse Mbappé, e pure lui: “Voglio rivolgermi a tutti i francesi e in particolare alle giovani generazioni. Vediamo che gli estremisti sono alle porte del potere, abbiamo la possibilità di cambiare tutto. Spero che la mia voce arrivi il più lontano possibile, dobbiamo identificarci con i valori della tolleranza, del rispetto, della diversità. Ogni voce conta, spero che faremo la scelta giusta e che saremo orgogliosi di indossare nuovamente questa maglia il 7 luglio”. Il 7 luglio è il giorno delle elezioni in Francia. Oggi, invece, c’è la partita
con l’Austria.

 

Ci mancherà Courtois

All’esordio, contro la Slovacchia, il Belgio non avrà in porta Thibaut Courtois. Anzi, lo dico meglio: non lo avrà mai. Uno dei migliori portieri del mondo (il migliore?) non è stato convocato per l’Europeo. Va ricostruita la stagione, forse dall’ultimo momento: da Courtois che, dopo la vittoria del Real Madrid nella finale di Champions, si lascia prendere dall’emozione e si inginocchia sul prato tenendosi il volto tra le mani. Gioisce, dopo aver sofferto, nella stagione più difficile della sua carriera: ad agosto si è rotto il crociato del ginocchio sinistro, è stato operato e ha cominciato un lungo cammino per recuperare in tempo per il finale di stagione, lavorando per la riabilitazione anche cinque ore al giorno. Poi sembrava essere pronto e si è rotto il menisco dell’altro ginocchio, quindi sembrava doversi arrendere. Invece ce l’ha fatta, rientrando in tempo per giocare quattro partite nel finale di campionato del Real e, anche, la finale di Champions. “Sta tornando il migliore del mondo” aveva detto Ancelotti, che però aveva pure il dubbio se schierarlo in finale o continuare con il sostituto, che però si è ammalato e quindi ha risolto il problema. Ora, se Courtois è recuperato, perché non è nemmeno nei 26 del Belgio? Semplice: ha litigato con Domenico Tedesco tempo fa, anche se il commissario tecnico dice che è una questione di ritmo partita, di distanza troppo prolungata dal campo. In realtà durante le qualificazioni all’Europeo, con De Bruyne assente nella partita con l’Austria, Tedesco aveva deciso di dare la fascia di capitano a Lukaku e non a lui, facendo andare il portiere fuori testa, al punto da abbandonare il ritiro della squadra e di confermare la sua decisione anche dopo un colloquio fino alle 4 del mattino con il tecnico. Quindi, nessuna motivazione tecnica: i due si odiano. Se non ci credete guardate un post su X del 14 marzo scorso di Pickx Sports: c’è un video di Tedesco che in conferenza stampa dice di aver fatto “di tutto, ma proprio di tutto” per ricucire con Courtois. La risposta del portiere sono tre facce con il naso lungo. Non mi pare ci sia altro da aggiungere.

 

Però, se volete, c’è Lunin

All’Europeo, però, ci sarà Andriy Lunin, ora portiere titolare dell’Ucraina e fino a poco fa non lo era, e per la parte decisiva dell’anno portiere titolare del Real, proprio al posto di Courtois. Anzi, inizialmente nemmeno quello. Perché Lunin, dopo essere stato acquistato a diciotto anni dai madrileni e aver fatto un discreto giro di prestiti, quando si è infortunato Courtois, si è visto un po’ snobbare dal club, che ha preso in prestito Kepa dal Chelsea. Poi il ruolo da titolare se l’è guadagnato sul campo, nella corsa del Real alla vittoria della Liga e della Champions ci sono le sue parate, soprattutto quelle ai rigori della partita con il City. Però quando tutto sembra andare bene, meglio non fidarsi: con Ancelotti indeciso tra chi far giocare tra lui e Courtois in finale, Lunin ha avuto l’influenza, è stato messo in quarantena e, per evitare di contagiare altri compagni di squadra, ha viaggiato da solo fino a Wembley, dove si sarebbe giocata la finale. Alla fine, meglio Courtois, ma il Real dice ancora grazie a lui, il portiere venuto quasi dal nulla che, al suo esordio, in quanto ucraino, si sentì gridare dai tifosi dell’Atletico Madrid che “il suo popolo soffriva, mentre lui pensava a giocare a calcio”. Errore madornale: Lunin per mesi ha raccolto e mandato beni di ogni tipo in Ucraina e ha anche ospitato dei rifugiati. La prossima volta, studiare.

 

L’Ucraina che gioca con il paese in guerra

Già, c’è l’Ucraina oggi. Gioca contro la Romania e non è facile separare il calcio dalla vita, l’Europeo dall’Europa, la partita dalle bombe. Infatti tredici calciatori ucraini hanno prodotto un video che parte proprio da Lunin, altamente emotivo, altamente tragico, che spiega cosa voglia dire essere altrove mentre il tuo paese da ventisette mesi è sotto le bombe dei russi. Appaiono in fila, uno dopo l’altro, dicono da dove vengono, dove sono nati, poi ci sono le immagini di quei paesi devastati, bombardati, occupati. È la realtà che incombe, di cui il calcio ne è solo una rappresentazione, è il mondo sconvolto e il pallone che rotola. Ed è tutto giusto, che si giochi e che se ne parli, perché dove ci sono gli occhi di milioni di persone si può capire meglio cosa sta accadendo, si possono aprire occhi distratti. Il messaggio finale è secco, forte, d’impatto: “Le nostre città vorrebbero ospitare gli Europei, ma ora stanno combattendo. Non per un torneo, ma per la libertà”. Vale di più, ogni partita che giocano.
 

 

Niente più partite da cento minuti

Avete notato che all’Europeo non ci sono più i recuperi mostruosi del Mondiale in Qatar? Che non si arriva più al 100’ o cose del genere? Ecco, è una scelta dell’Uefa, che contrariamente alla Fifa ha chiesto agli arbitri di non essere fiscali sul tempo perso per esultanze, sostituzioni, rigori, espulsioni e sostituzioni, e di tenere la linea prevista per la Champions. Ovviamente il sindacato internazionale dei calciatori si è subito detto d’accordo. Il tempo di recupero medio ai Mondiali è stato di undici minuti e mezzo a partita, motivo per cui non potevi mai fare la domanda “quanto manca?” fino a che non si sapeva quanto si sarebbe dovuto giocare ancora. Si è deciso di risparmiare un po’ i calciatori spremuti, ma forse era anche una questione sopravvalutata, quella dei maxirecuperi. Per spiegare: nell’Europeo del 2021 il recupero medio era di 6 minuti e 28 secondi, nel Mondiale del 2022 di 11 minuti e 22 secondi. Ma il confronto con il tempo con la palla in gioco era: 57 minuti e 46 secondi all’Europeo, 58 minuti e 3 secondi al Mondiale. Insomma, tutto sto casino per 17 secondi in più.

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