Bryson DeChambeau vince gli US Open di golf, nel nome del grande Payne Stewart

Quattro anni dopo, il grande ritorno sul tetto dello US Open. Con un favoloso up and down dal bunker della 72, “The Scientist” Bryson DeChambeau ha vinto a Pinehurst, tra i campi più difficili al mondo, il suo secondo US Open in carriera. Un trionfo che ha commosso molti perché il trentunenne californiano ha vinto con un putt sul green dove 25 anni fa vinse Payne Stewart, giocatore che gli assomiglia forse non per lo swing ma certamente per il look e l’anticonformismo.

Con una punta di ironia, sabato in sala stampa Bryson aveva definito “boring golf” la sua tattica per l’ultimo giro. Un vero paradosso per il giocatore forse più spettacolare del momento, estremo per tecnica e scelte di gioco ma in effetti domenica DeChambeau ha fatto quello che aveva promesso, scommettendo che con un giro finale in par avrebbe vinto. Puntare sempre al centro del green, giocare “Safe”. Evitare qualunque errore.

Una certezza che solo Rory McIlroy ha messo in discussione, quando alla 13 è sceso a quattro colpi sotto il par per il giro ed è passato in testa. Sembrava il preludio di un trionfo e invece alla fine è stato il grande sconfitto, con tre bogey nelle ultime quattro buche. Ancora un errore sul più bello e sempre da grande favorito, Rory ha mancato la vittoria negli ultimi 38 tornei del grande slam ed è quasi incredibile perché il suo talento, lo dimostrano i risultati in altri tornei, è rimasto immutato. Tantissimi tornei vinti su tutti i circuiti, tre FedEx Cup e I trionfi Ryder Cup insomma al di fuori dei major McIlroy continua a essere un campione tra i più brillanti.

Gli equilibri del golf senz’altro si stanno spostando e non solo per l’avvento del tour concorrente. Trenta giocatori europei di cui tre italiani in uno US Open non si erano mai visti, segno di una crescita organica del nostro golf ma anche di un indebolimento generale del PGA Tour a scapito del LIV che un bel numero campioni americani se li è portati via. Si è poi forse rotto una diga psicologica, molti più europei studiano e si allenano negli Stati Uniti fin dal college, gli Hovland, gli Åberg mentre altri hanno preso il coraggio a quattro mani e sono venuti a giocare qui. Parlo di Pavon, Detry, Jaeger, Lowry, Fleetwood e molti altri che certo vedremo nelle prossime settimane Europa, in vista dell’Open Championship a Muirfield ma certo da agosto in avanti torneranno a giocare oltre oceano.

Tra di loro, il francese Mathieu Pavon alla fine quinto, ha registrato l’altra miglior prestazione europea, come Bryson mai sopra al par nei primi tre giri, a Pinehurst un’impresa quasi impossibile, dopo la vittoria tre mesi fa a Torrey Pines ha confermato di essere un giocatore in grado di poter presto vincere un major, come non accadeva dai tempi di Arnaud Massy il leggendario giocatore di Biarritz che vinse l’Open Championship nel 1907 e avrebbe potuto fare molto sul suolo americano se solo avesse voluto attraversare l’Atlantico.

Tra i tredici past winners solo Bruce Koepka è arrivato tra i primi trenta. Più indietro il numero uno al mondo Scottie Schaeffler. Tra gli italiani sono Francesco Molinari ha passato il taglio, una prestazione opaca, purtroppo un terzo giro in 77 colpi lo ha fortemente allontanato dalla testa. Tiger Woods non ha passato il taglio, ormai le sue prestazioni sono modeste, ottimo invece lo stato di forma di Sergio Garcia ad un certo punto ha fatto sognare i suoi tifosi sulla possibilità di inserirsi nelle prime posizioni.

Su tutte le bandiere, per questo US Open, l’immagine dell’esultanza di Payne Stewart, indimenticato campione che 25 anni fa vinse qui il suo terzo major championship un mese prima di morire in un tragico incidente aereo. La bandiera della 18 è stata posizionata nella stessa identica posizione del 1999, Stewart giocò il suo putt vincente da 18 piedi, DeChambeau ha imbucato da 4 piedi, il gesto quasi imitato in segno di continuità con un grande protagonista della storia del golf. Se voleva essere un grande omaggio, non poteva esserci una vittoria più perfetta.

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