La Francia che odia Macron, un popolo da psicoanalizzare

Sono grande grosso e grasso ma non affetto da titanismo. Non sono come Vittorio Alfieri un misogallo, un odiatore dei francesi. Sono tecnicamente i più intelligenti del mondo, è abbastanza noto. Sono di buono stampo nonostante il sistematico cattivo umore. Hanno dato capolavori letterari filosofici scientifici spirituali capaci di rivoluzionare il pensiero universale, l’elenco è troppo lungo. L’egualitarismo e il libertarismo dell’89 sono di molto inferiori alla common law degli inglesi e alle libertà tradizionali dei Founding Fathers americani, ma il grido rousseauiano contro la civilisation è ancora vivo come pegno romantico nella modernità; lo stato nazionale si ripresenta trecento anni e passa dopo il Grand Siècle come supremamente ambiguo, eppure è la traduzione di Machiavelli in una lingua bella quanto quella del Fiorentino. Parigi è lo spettacolo mondiale del classicismo combinato con la contemporaneità tra Otto e Novecento. Che volete di più? 

Tuttavia l’odio dei francesi per Macron è roba da psicoanalisi, richiederebbe una terapia di gruppo applicata a una nazione intera. La farsa tragica, e perfino delirante, dell’assedio bipolare al “presidente dei ricchi”, Fronte Popolare e Rassemblement National senza apprezzabili distinzioni nel populismo rossobruno, porterà probabilmente non già a un cambio di governo, o non solo, ma a uno sconquasso della coscienza collettiva nazionale, e a conseguenze dolorose per l’identità strategica dell’Europa, già sottoposta alla dura prova della guerra russa. C’è qualcosa di patologico in un popolo che elegge per due volte all’Eliseo un grande manovratore e un grande retore politico, che apparentemente investe in un salto liberale e riformista nella terra che detesta liberalismo e riformismo, ma solo per poterlo meglio decapitare dandogli dell’idiota, dell’arrogante e del narcisista (Alain Minc), paralizzando strade e piazze contro le più ovvie e salutari tra le sue scelte, come la riforma dell’età pensionabile, bollandolo da sinistra a destra, con uniforme piattezza ideologica, come un servo del capitale inabile all’ascolto della famosa Francia profonda. 

L’assalto a Parigi dei gilet gialli nacque da un aumento green della benzina e da molta sconcia e menzognera prosopopea sociologica sul declino e impoverimento di tutto quello che non è l’Ile de France e Paris. Gli assalti guidati dalla Cgt contro la pensione a 62 anni espressero una furia nichilista anni Trenta, ora giustamente convogliata in una caricatura del Front Populaire con a capo non un ebreo e sionista come Blum ma un antisemita e filo-Hamas come Mélenchon. Macron è stato eletto presidente due volte per uno di quei chimismi della politica che riescono a generare qualche speranza, e per l’abilità superiore rispetto ai suoi pari del sistema politico, riconosciuta da Aldo Cazzullo in un recente reportage dalla Francia, ma a quel grumo di ipotetica apertura su un futuro diverso dalla tradizione gollista e mitterrandiana sono immediatamente succeduti il dileggio, il disprezzo, l’onta sociale contro l’economista e il funzionario ex Rothschild. Gli italiani, mezzi pazzi come siamo anche noi, sono però equilibrati nel trattare un Monti, un Conte, un Draghi e una Meloni con una certa ragionevolezza opportunista e spassionata. La nostra pazzia si è esaurita senza danni e con un lieto fine nel delirio meraviglioso del berlusconismo e nella cupezza tramortita dell’antiberlusconismo. In un certo senso l’analisi come terapia per noi è conclusa da dieci anni almeno, in Francia non finirà mai, a quanto sembra.

       

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