Quei duelli all’ultimo sangue fra le pagine raccolte nelle nostre librerie

Battaglie di carta, fra libri che fanno bene o fanno male. Parole che proiettano la luce su cose che prima si ignorava. Come l’orrida guerra o l’esile pace

Cari amici, non so voi ma è un fatto che io resti d’incanto ogni volta che su un giornale vedo la foto di uno studioso o di un collezionista dietro cui si staglia la sequenza delle foto dei libri riposti sugli scaffali della sua biblioteca. E’ come se dovesse avvenirvi qualcosa su quei scaffali, come se stesse per succedervi qualcosa, come se quelle pagine di carta stessero per affrontarsi, per duellare all’ultimo sangue.



Libri che vengono aperti e sfogliati, letti, talvolta divorati, auscultati in silenzio. Pagine di carta che fanno male o che fanno bene, che proiettano luce su cose che ignoravi. A seconda. Che ti cambiano la vita. A me ventenne cambiò la vita l’acquisto e la lettura dei “Quaderni” di Antonio Gramsci che pagavo a rate alla Einaudi.

I duelli di carta, gli uni contro gli altri armati. Per avere scritto uno di quei libri ne sono morti in tanti e alcune morti sono fra le più atroci. Penso a Giordano Bruno, ai dieci minuti che percorse a piedi fino al rogo prima che si accendessero le fiamme che lo divorarono vivo. Prima ancora che sui campi di battaglia è su quegli scaffali che si accesero le stragi, i morti a grandine, i 3.000 morti per ogni spicchio delle coste di Normandia su cui atterrarono i paracadutisti degli Alleati nel giugno 1944.


Nei secoli poi i protestanti, i cattolici, i musulmani se le danno di santa ragione. Gli attacchi spasmodici ora contro Gerusalemme, ora contro San Pietroburgo. Valanghe di fuoco, morti a cascata. Ebbene quelle armate di carta tutto ciò te lo raccontano vivamente, solo lasciandoti immaginare le grida di strazio promananti da tanta morte, le grida di strazio che sopraffanno tanto dolore. La Varsavia o la Bucarest della Seconda Guerra mondiale vennero passate da parte a parte da valanghe di fuoco, da non sapersi nemmeno come contare i morti. I morti i morti i morti. La parola guerra, orrida presenza sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Al confronto una parola esile esile, lieve lieve quale la parola pace, una parola che fa lo stesso rumore di una pallina che rimbalza contro una racchetta alla quale non fa sostanzialmente un baffo. Una parola che ha perduto risonanza, che ha perduto velocità.

Ve lo immaginavate dieci o quindici anni fa un tale esito, che un alto ufficiale americano pronunziasse oggi che entro dieci anni l’Urss avrebbe attaccato l’Europa e gliele avrebbe suonate di santa ragione? Come a dire che l’attuale protezione militare europea nei confronti dell’Urss è fatta adesso di carta velina e ci vuol niente a lacerarla? Brividi, a meno di non prenderle per boutade che svolazzano appese in cielo. E finora il cielo non ci ha rassicurato gran che. E Tayan, tanto per dire di una scaramuccia che implica l’intervento del più grande esercito al mondo? Lì come va a finire? Chi tirerà la corda più e meglio al mondo? Chi dei due mostruosi eserciti, Cina e Usa, spezzerà le ali all’altro scaraventando missili della portata di 1.000 chilometri ciascuno?



Battaglie di carta, ma no non è così. Piuttosto morire pur di trovare un libro che ti manca, un libro che vorrai leggere a ogni costo. Storie drammatiche sono quelle di librerie e collezionisti che si danno vicendevolmente la caccia. La storia della letteratura ne è piena. Il mio amico professor Oliviero Diliberto (ex ministro della Giusizia) ve ne racconterebbe a iosa nei suoi libri, capolavori cercati dappertutto e poi rinvenuti in un pertugio. Io che gli voglio bene vedo trasformarsi il suo volto quando all’orizzonte gli capita di vedere un libro che cercava da anni, un gruzzoletto di pagine che mai aveva visto cucito assieme e al quale magari l’autore aveva apposto una prefazione con due o tre parole di commento. Innanzi al quale, Oliviero o chi per lui, aveva esalato l’ultimo respiro. Purché sia carta da leggere. Da stropicciarvisi le mani o piuttosto le mani: meglio ancora l’anima.

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