Infanzia coi mostri per affrontare la vita

Lo spettro post-montessoriano scandinavo time-efficient si è impossessato col tempo dei cartonati da vetrina per l’infanzia. I lupi non mangiano più le nonne, nessuno insulta nessuno, e spesso i testi diventano strumenti genitoriali per insegnare ai bimbi cose pratiche: a usare il vasino, a non fare la pipì a letto, ad addormentarsi, a gestire le emozioni, ad accettare il fratellino in arrivo. E senza il terrorizzante fascino di un Pierino Porcospino col suo macabro epilogo. I libri per bambini e ragazzi occupano circa un quarto dell’industria editoriale, e come ogni prodotto commerciale si adattano alla società che cambia, come è normale che sia.

Nella maggior parte dei casi è tutto così educativo che sembra di essere a scuola, e nemmeno più in un modo poetico sessantottino moralista, à la Rodari, à la Cipì, à la Lionni. E neanche con l’ironia di un Munari. Certo, non tutti i libri hanno questo approccio pragmatico, ma entrando nel reparto bambini di una libreria troviamo sezioni nate dall’iperfunzionalità dello Zeitgeist per genitori che hanno fretta di educare. La noia da pippone bacchettone di Peppa pig. E avanzando con l’età non entriamo nei meandri didascalici delle ragazze ribelli, un brand di grande successo, o su biografie su giudici eroi – Falcone & Borsellino for kids – o sui fratelli Kennedy (ne ha scritto pure uno Veltroni, sic). E neppure apriamo il vaso di Pandora dei temi razza & gender che tanto vanno nei bookshop americani, Harvey Milk per bebè, Black is the proudest color, Era la notte prima del Pride, etc etc. e che invece vengono bannati nelle biblioteche della Florida e regalati dagli iper progressisti di Park Slope. 
Ma insomma, non c’è più molto spazio per l’interpretazione. “Riducendo un’opera d’arte al suo contenuto, e poi interpretando soltanto quello, la si addomestica”, scriveva Susan Sontag, ma qui da addomesticare c’è ben poco, i libri arrivano già col collare.

E invece, voilà un po’ di freschezza vintage grazie ad Adelphi, che nella sua collana per fanciulli (che si chiama I cavoli a merenda) continua la traduzione e pubblicazione di Maurice Sendak. Morto nel 2012, ebreo di Brooklyn, omosessuale – faceva coppia con uno psicanalista – doveva avere un bel caratterino, di fronte a una recensione negativa di Salman Rushdie a un suo libro dopo averlo insultato dice: “Ho dovuto chiamare l’Ayatollah”. Sendak era diventato famosissimo per il suo libro Nel paese dei mostri selvaggi: un bambino in castigo che trova/crea un mondo parallelo pieno di strane creature che riesce a domare, di cui diventa re, perché lui è più selvaggio di loro. La cultura yiddish traspare, e così la malinconia dell’est Europa, non è un caso che Sendak abbia anche illustrato le storie di Isaac B. Singer. Il nonno era pure rabbino. In altri libri troviamo pure qualche immagine dell’Olocausto, motivo che portò a iscrivere nella lista dei libri controversi dalla American library association il suo splendido La cucina di notte: i cuochi un po’ Oliver Hardy con i baffetti da Hitler, il bimbo nudo infilato nel forno. “Mi rifiuto di mentire ai bambini”, diceva a chi criticava la crudezza delle sue storie. In Bombo-Lardo le grottesche figure alla festa di compleanno del maialino orfano ricordano l’espressionismo tedesco di Grosz. Ne Il mondo là fuori, tra i più bei libri di Sendak, un bebè viene rapito dai goblin e sostituito da un fantoccio di ghiaccio; le illustrazioni a doppia pagina sembrano sfidare lo spazio-tempo, come in un paesaggio escheriano. Perché i libri per bambini non possono essere un po’ spaventosi, un po’ assurdi, sofisticati?

La bellezza di Sendak, oltre alla matita virtuosa, sta proprio nella libertà che viene lasciata alle domande: Cosa sta succedendo qui? E’ sogno o realtà? Chi sono i buoni, chi sono i cattivi? E’ lo spirito di avventura che troviamo in queste pagine che fa diventare lettori (forti) e fa affrontare la vita con caotica energia (e non con petulanze e normativi sensi di colpa).

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