Il capitale umano dello stato

Italia al rallentatore? Non è tutta colpa della burocrazia. La qualità della pubblica amministrazione dipende anche dalle leggi e dalla politica. Bene la formazione, ma dovrebbe avere obiettivi più precisi

La burocrazia rappresenta un fattore negativo per la capacità di “fare impresa” e un elemento distorsivo della produttività, che penalizza in particolare le piccole e medie imprese, e costituisce una delle cause della scarsa propensione a investire nel nostro paese da parte degli operatori stranieri: lo osservavano Paola Piantedosi e Marco Cramarossa in un saggio su “Il peso della burocrazia italiana e i suoi effetti sul sistema economico”, pubblicato su “Economia italiana”, numero 2-3 del 2018.

Ma la qualità dello stato dipende in larga misura dalla qualità della pubblica amministrazione e quest’ultima è influenzata da fattori esterni, come la qualità delle leggi (che ne disegnano l’assetto organizzativo e i percorsi) e la qualità della classe politica (che ne dirige l’attività), nonché dalla selezione del personale e dalla sua formazione.

Mentre poco viene fatto per selezionare i migliori (troppe assunzioni vengono fatte senza concorso; altre vengono fatte con concorsi che servono poco a selezionare i migliori; altre assunzioni sono fatte per meriti politici) l’attività di formazione è ingente, come dimostrato dal recente Censimento permanente delle istituzioni pubbliche al dicembre 2022, i cui primi risultati sono stati pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica – Istat il 21 maggio 2024 e che considera tutte le istituzioni pubbliche, con l’esclusione di forze armate, polizia, capitanerie di porto e personale scolastico, e consente di valutare quello che si fa per la formazione del personale pubblico.

La formazione del personale pubblico

Nel rapporto dell’Istat si può leggere che “nel 2022 le amministrazioni che hanno organizzato o finanziato attività di formazione superano di poco la metà del totale (53,5 per cento) ma rappresentano oltre il 93 per cento dell’occupazione dipendente”. “Complessivamente, nel 2022 sono state organizzate o finanziate dalle istituzioni pubbliche più di 260 mila attività formative che hanno registrato oltre 3 milioni e trecentomila partecipanti”. Ancor più significativa la circostanza che “rispetto al 2020 si registra in tutte le tipologie di amministrazioni pubbliche un forte aumento dell’impegno a realizzare attività di formazione (+50,7 per cento) e della partecipazione a esse (+41,9 per cento)”.

Insomma, non solo il numero dei partecipanti alle attività formative è molto alto, ma è anche notevole l’aumento delle iniziative di formazione e del numero dei partecipanti in appena due anni.

Le note dolenti

Le note dolenti vengono subito dopo, e riguardano le disparità tra le amministrazioni e le finalità. Infatti, tra le istituzioni che hanno adottato misure per incentivare e favorire l’accesso ai percorsi di istruzione e qualificazione del personale laureato e non laureato primeggiano le aziende e gli enti del Servizio sanitario e le università, che superano il 90 per cento, seguite dalle regioni (89,7 per cento), dalla Presidenza del Consiglio, dai ministeri (87,5 per cento) e dalle città metropolitane (85,7 per cento) a fronte di una media complessiva del 28,6 per cento.

In secondo luogo, i permessi per diritto allo studio previsti dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro rappresentano la misura più largamente impiegata dalle istituzioni pubbliche e si può ragionevolmente supporre che questi siano stati mossi più dall’interesse delle persone che da quello dell’ufficio di appartenenza.

Un terzo fattore negativo è prodotto dalla analisi dei fabbisogni formativi e dalla valutazione della formazione svolta, difficili quando si esce dalla formazione di carattere generale, che riguarda la cultura digitale, le relazioni umane, la negoziazione. Un sintomo di questa difficoltà è costituito dal fatto che solo il 20 per cento delle amministrazioni pubbliche ha adottato un piano formativo, e quindi tutto il resto della formazione si fa “alla spicciolata”.

Il quarto problema dell’attività di formazione amministrativa riguarda la cultura amministrativa e dei formatori, che è sempre troppo astratta, sempre troppo orientata verso il diritto piuttosto che verso le pratiche amministrative, e sempre scarsamente orientata all’analisi di esperienze concrete e allo sviluppo di quel “learning by doing” che fa parte della formazione “on the job”. A questo è legato il problema delle tecniche didattiche e del materiale didattico sempre molto carente: si pensi per fare un confronto, che fin dalla sua fondazione la “Kennedy School of Government” si dotò di centinaia di “case studies” che dovevano servire per la formazione del personale pubblico.

Infine, solo un terzo delle pubbliche amministrazioni valuta l’attività di formazione svolta e ancora troppo poca attenzione è rivolta alla formazione di una burocrazia europea, e quindi diretta non solo a sviluppare le peculiari qualità richieste alla burocrazia europea, come la capacità di negoziazione, ma anche a formare dipendenti pubblici italiani che siano in grado di mettere in comune esperienze di gestione pubblica con le loro controparti europee. Questo è un elemento particolarmente importante, come dimostrato dall’esperienza degli amministratori italiani più capaci che hanno praticato e illustrato le esperienze di ricerca del “punto d’incontro” (è così intitolato un libro molto istruttivo scritto da Nicola Verola sulla sua esperienza europea).

Altri programmi bollono in pentola

Altri programmi bollono in pentola. Il ministro per la Pubblica amministrazione, con la direttiva del 24 marzo 2023, ha pianificato la formazione e lo sviluppo delle competenze dei funzionari pubblici in funzione della transizione digitale, promosse dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza, così definendo il piano strategico di formazione dei dipendenti pubblici.

La Scuola nazionale di amministrazione – Sna registra un notevole numero di iniziative formative che sono ammontate a 14.229 nel 2023, con 146 corsi per 7.870 ore. Qui spicca il corso-concorso per la dirigenza delle amministrazioni centrali, che ha registrato, negli ultimi tre anni, 315, poi 352, infine 116 allievi. In questo quadro è particolarmente importante l’esperienza definita delle “comunità di pratica” per la condivisione delle “best practices” l’esame di casi concreti e la formazione al “problem solving”.

Che cosa resta da fare

La formazione non può essere separata dalla ricerca. Si può migliorare la qualità del personale del settore pubblico solo se si conoscono realtà e bisogni delle amministrazioni pubbliche, sulla base dei quali formulare programmi formativi. Da questa assenza dipende anche l’omologazione del funzionario pubblico al giurista-dottor sottile, equilibrista tra le norme. Questa figura prevalente ha oscurato le migliaia di profili professionali di cui il settore pubblico ha bisogno, dalla sanità alla difesa, dalla scuola all’industria, dalla finanza alla polizia.

La seconda esigenza da soddisfare è quella di legare i mezzi agli obiettivi. La formazione non è un obiettivo, ma un mezzo. Prima di formulare piani formativi, bisogna definire gli obiettivi che si vogliono raggiungere, ufficio per ufficio, obiettivi ai quali legare l’attività di formazione.

Il terzo anello debole della catena è il controllo dei risultati. Bisogna, dopo qualche anno, ritornare sul campo per verificare se l’investimento in formazione ha assicurato il prodotto che si voleva ottenere.

Tutto questo, infine, non si può fare senza una “macchina della formazione”, dotata di capacità di programmazione e di valutazione, in grado di fornire un ausilio ai singoli apparati. Secondo l’uso solito, invece, in Italia siamo riusciti a sdoppiare le funzioni, duplicandole, con la Scuola nazionale di amministrazione – Sna e il Formez Pa – Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle pubbliche amministrazioni, un’associazione con personalità giuridica di diritto privato, operante nell’ambito della Presidenza del Consiglio – Dipartimento della funzione pubblica e delle altre amministrazioni associate, dal 1963 nell’ambito degli interventi straordinari per il Mezzogiorno, poi al servizio dell’intera pubblica amministrazione.

L’Italia e le istituzioni sotto la lente dei numeri: Rapporti alla mano, di Sabino Cassese

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