Che cosa c’è dietro alle 24 medaglie dell’atletica azzurra agli Europei di Roma

Forse non è il caso di scomodare il “Tutto vero” con cui la Gazzetta celebrò il Mondiale del 2006, ma poco ci manca. Appartiene ai sogni inconfessati di ogni appassionato questa Italia dell’atletica che all’Olimpico di Roma (sì quello dei Giochi 1960 che chiusero l’era dello sport a misura d’uomo) sbanca l’Europa e si intrufola piano piano nelle case degli italiani a ora di cena, sobbalza a picchi di 3 milioni e mezzo di spettatori su Rai 2 (più punte da un milione di contatti su Sky) e ci impone a un mese e mezzo da Parigi come la nazione leader d’Europa nella disciplina regina. Traguardo che supera le più rosee aspettative quello delle 24 medaglie che raddoppiano il miglior bottino di sempre nella rassegna ottenuto a Spalato ‘90 e ancor di più gli 11 ori che surclassano il record precedente di 5 vittorie. Al punto che il dt Antonio La Torre nella conferenza stampa finale ha citato il titolo del Foglio Sportivo, l’unico giornale a cui aveva confessato alla vigilia, quasi con pudore, che c’erano oltre venti carte da podio

Merito al presidente Stefano Mei, che a Spalato (nella precedente edizione record) guarda caso conquistò un bronzo nei 10.000 e da ex atleta, fin dall’insediamento del gennaio 2021, è riuscito a entrare in sintonia con la squadra liberando le nostre potenzialità. Come ha spiegato Gianmarco Tamberi, autore di uno storico tris nell’alto, sarebbe sbagliato indicare come svolta i cinque ori di Tokyo perché la rinascita è cominciata poco prima, quando finalmente gli azzurri hanno smesso di accartocciarsi sui rimpianti e sulle occasioni perdute. Merito anche al responsabile giovanile Tonino Andreozzi che da decenni si occupa di studiare, forgiare e consegnare talenti alla Nazionale maggiore. Di questa squadra che si specchia negli ori – anche nella nuova grinta di Larissa Iapichino che sulla pedana rialzata dell’Olimpico strappa all’ultimo salto con 6,94 (a un centimetro dal personale) l’argento che le stava sfuggendo per un centimetro o nella incredibile ascesa del ventunenne Luca Sito che si guadagna due medaglie nelle staffette e approda al quinto posto dei dei 400 con uno stratosferico 44”75 – deve essere orgoglioso ogni italiano perché un popolo che figurava ai primi posti in Europa nelle classifiche di sedentarietà potrà timbrare sul passaporto di essere il più bravo d’Europa a correre, saltare e lanciare. I tre gesti principali del movimento. 
Insomma, a discapito delle strutture che mancano e di una cultura sportiva calciocentrica, in questi Europei siamo partiti dai quarti posti di Praga ‘78 e Spalato ‘90 e abbiamo fatto impallidire i 4 ori delle inseguitrici (Francia, Gran Bretagna, Norvegia e Svizzera) del medagliere e a vincere anche la classifica a punti con ben 45 finalisti, una enormità. Nel suo giustificato orgoglio lo stesso Mei, presidente della Fondazione EuroRoma 2024, ha ammesso gli errori sui prezzi dei biglietti che hanno ridotto le presenze degli spettatori delle 6 giornate di gare (137.000 ma meno di 100.000 biglietti venduti). E proprio il “molleggiato” Tamberi, che col suo show ha riempito da solo la curva sud, ha analizzato quel valore ancora poco percepito dell’atletica che da oggi crescerà come le nostre medaglie. Non per niente il presidente Sergio Mattarella dopo la presenza ufficiale in tribuna del sabato (prolungata oltre i tempi del protocollo) ha voluto tornare in veste privata martedì con una sfilata di politici e autorità che danno un nuovo spessore all’immagine del movimento. 

Potete quindi immaginare l’imbarazzo con cui, dopo esserci aggrappati per decenni alle singole imprese dei Mennea e Simeoni di turno, oggi ci troviamo in ristrettezze di spazio per citare tutti gli ori azzurri di questi sei giorni che rientrano fra i più belli della storia dello sport italiano. Eccoli: Marcell Jacobs (100), Lorenzo Simonelli (110 hs), Gianmarco Tamberi (alto), Leonardo Fabbri (peso), 4×100 maschile, Yeman Crippa (mezza maratona), squadra mezza maratona,  Nadia Battocletti (5.000 e 10.000), Sara Fantini (martello), Antonella Palmisano (20 km di marcia). Ed è significativo come perfino una leggenda olimpica come Marcell Jacobs, capace di assicurare il picco dei 35.000 spettatori della seconda giornata di gare, sia finito per la prima volta nel “mucchio” di questo movimento, senza perdere un briciolo della sua disponibilità. Dovevate vederlo mercoledì notte nelle interviste nella zona mista, dopo il bagno di folla alla Medal Plaza e prima dell’intervista ufficiale a Casa Italia, mentre, rispondendo ai cronisti più giovani che lo vedevano per la prima volta, si dilungava sulla vita privata, sui figli rimasti in America dove si mangia male, sulla magnifica prova in staffetta che sarebbe valso un “meno dieci” nei 100 individuali e sulle nuove sicurezze per Parigi. Dovevate vedere Filippo Tortu correre da Mattarella per consegnargli le sue scarpette (“attenzione che i chiodi pungono”), poi piangere per un’ora fra le braccia del padre Salvino (“Faremo tre gare prima di Parigi e scenderemo sotto i 20”, non preoccuparti”, le parole per consolarlo) per un argento dei 200 che non l’ha soddisfatto e poi sfogarsi con radio e radioline per un oro in staffetta che questa volta non basta a risollevarlo. E forse ha un senso che l’ultima notte nel ventre dell’Olimpico si sia spenta alle due di notte sul sorriso di Larissa Iapichino mentre il papà-allenatore Gianni Iapichino ci spiegava che a Parigi la figlia di Fiona May supererà abbondantemente i 7 metri per non darsi perdente contro la vincitrice Malaika Mihambo. 

E in tutto questo può capire che nel mucchio finiscano anche la migliore prestazione tecnica in chiave Olimpiadi degli Europei, cioè il record italiano di Lorenzo Simonelli con 13”05 nei 110 hs, e l’autentico miracolo di Alessandro Sibilio rinvenuto quasi a sorpresa da una miriade di infortuni per centrare l’argento dietro al “marziano” Warholm e centrare uno degli 11 record italiani della rassegna con 47”50. In tempo per regalarci una delle chicche della rassegna: “Sapete che mio nonno giocava a carte sulla spiaggia di Napoli col nonno di Sito, prima che la famiglia si trasferisse a Milano. Io lo conosco da prima che cominciasse a fare atletica e posso dirvi che è di un’altra categoria rispetto a tutti noi”. 
Segreti e suggestioni di questa squadra che ogni sera dopo le gare si raccoglieva nel dormitorio dell’Acquacetosa trasformato in una sorta di Villaggio Olimpico. Da Tamberi a Jacobs tutti a dire la stessa cosa: “Mai vista una squadra così unita”. E così vincente. 

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