L’alleanza del colosso di Cupertino con OpenAi: su iPhone arriva “Apple Intelligence”

La società di Tim Cook introdurrà una Siri potenziata e nuovi strumenti di intelligenza artificiale per iOS18 e macOS Sequoia. Inizia una nuova èra di collaborazione competitiva nel settore tecnologico

La aspettavano da mesi al varco, Apple. Era del resto l’unico gigante tecnologico a essere rimasto senza un piano per le intelligenze artificiali: tutti sapevano che il Wwdc, l’annuale conferenza per gli sviluppatori che si è svolta lunedì, sarebbe stata dedicata per lo più a questo. E alla fine, come già previsto da Bloomberg, l’azienda ha presentato “Apple Intelligence” invece di una banale “Artificial Intelligence”. Questione di branding, ma non solo.

Il piano di Apple per le IA è ambizioso e composito: nei prossimi mesi gli utenti di OS18 e macOS Sequoia potranno utilizzare nuovi servizi di IA che includeranno una nuova Siri potenziata, capace di conversare, nuove emoji “generate” con le IA, e strumenti per modificare o generare testi e immagini. A corredo di tutto questo, poi, il piano prevede l’accesso a GPT-4o, il nuovo chatbot di OpenAI, quello che è stato presentato poche settimane fa utilizzando una voce che ricordava in modo sospetto quella di Scarlett Johansson. E forse sarà stato a causa di quel polverone – l’attrice si lamentò pubblicamente dell’uso improprio della sua voce – che Sam Altman, ceo di OpenAI, non è salito sul palco del Wwdc, nonostante fosse tra il pubblico. O forse la questione è ancora più politica, visto il ruolo delicato che la sua azienda sta interpretando in questo momento: OpenAI è infatti alleata di Microsoft, che ha investito nella società di Altman circa 13 miliardi di dollari. A turbare il connubio tra le due ci ha pensato proprio Apple, che da metà 2022 lavora segretamente per dotarsi di una strategia per le IA: in molti si aspettavano un “momento iPhone”; altri temevano che la vecchia gloria di Cupertino stesse perdendo colpi. Non è andata così, e Apple sembra intenzionata a costruire il prossimo iPhone attorno a Intelligence.

Parte del ritardo (percepito) di Apple sulle IA era dovuto alla necessità di dotare i propri dispositivi di sistemi simili senza appoggiarsi completamente a servizi esterni. Ogni richiesta fatta a ChatGPT, per esempio, raggiunge i server di OpenAI-Microsoft, dove viene elaborata per poi tornare nel dispositivo dell’utente. Apple però preferisce da sempre sistemi chiusi e protetti: il suo fine ultimo era quindi di far funzionare i modelli linguistici alla base di quelle che chiamiamo IA generative direttamente all’interno del dispositivo. E ci è riuscita, almeno in parte, perché Apple Intelligence è dotata di modelli con circa tre miliardi di parametri in grado di “girare” dentro l’iPhone. Certo, tre miliardi di parametri sono un’inezia rispetto ai modelli più grandi e avanzati (GPT-4 dovrebbe averne più di mille miliardi), ma i modelli di Apple dovranno gestire solo alcune delle richieste degli utenti.

Si tratta di un compromesso a cui Apple è arrivata forzatamente, costretta dai limiti tecnologici odierni: i modelli linguistici correnti sono ancora troppo grandi ed energivori, e gli smartphone non ancora dotati di chip abbastanza potenti. Nel frattempo, è stato quindi inevitabile l’accordo con OpenAI. Non sappiamo come abbia preso Microsoft la notizia del sodalizio, ma sappiamo che Elon Musk non ha gradito e ha già minacciato di vietare gli iPhone dalle sue aziende per ripicca contro il suo ex socio Altman.

All’ultimo Wwdc Apple ha fatto una cosa che di solito non fa: ha nominato la concorrenza. E Craig Federighi, tra i più papabili a prendere il posto di Tim Cook alla guida di Apple, ha persino aperto la strada a Gemini, il chatbot di Google, che potrebbe sbarcare su iOS, proprio come ChatGPT. “Vogliamo permettere agli utenti di usare i modelli che vogliono”, ha spiegato. Un’apertura non da poco, figlia del bizzarro momento in cui si trova il settore, alle prese con una corsa agli armamenti senza precedenti ma anche costretto ad affrontare un terreno del tutto nuovo, dove è inevitabile scendere a patti con la concorrenza.

Ci sono dei precedenti. Quando Steve Jobs presentò iPhone, sul palco c’era anche Eric Schmidt, ceo di Google, che propose scherzando di fondere le due aziende creando “AppleGoo”. I sorrisi finirono presto: poco prima di morire, nel 2011, Jobs disse di voler “distruggere” Android e di scatenare una “guerra termonucleare” contro Google. Certe alleanze, insomma, non durano molto.

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