Il dress code esiste anche quando cerchiamo di farne a meno

Tra immagine e responsabilità. Superare i codici rigidi è un sollievo, però la coerenza tra abito e ruolo resta cruciale. La moda gioca con i confini, ma in pubblico e al lavoro l’apparenza è ancora fondamentale

Che cos’è oggi il physique du rôle, ma anche ciò che ci rende o ci fa sentire “in parte” rispetto alle diverse situazioni attraversate? E’ soltanto l’aspetto esteriore (essenzialmente l’abito) adatto alla professione, al ruolo, al contesto o non è anche una sorta di savoir faire, postura mentale, linguaggio, accortezza e competenza nell’interagire con persone e circostanze e, quindi, anche nel scegliere l’abito? Il superamento di codici rigidi, dress code e formalità di relazione da cerimoniale spagnolo alla corte di Vienna, è stato una ventata di freschezza salutare che permette una maggiore libertà di esprimersi attraverso un’immagine più personale e di sentirsi a proprio agio, condizione necessaria per dare il meglio di sé. E se la moda eleva a trend costante il nude dressing (per quanto spesso letteralmente ucciso in produzione da fodere e doppi strati) e suggerisce l’idea (rischiosa, a meno di non frequentare esclusivamente addetti ai lavori) che un completo formale maschile si possa indossare tranquillamente con gli shorts, per quanto altrettanto sartoriali, si può pensare che non ci sia più nessun tipo di vincolo, e che il physique du rôle sia al massimo solo il “fisico bestiale per resistere agli urti della vita”.

Eppure, mai come ora, perfino nella cronaca quotidiana, si avverte uno squilibrio generale nell’immagine di molte persone, in situazioni pubbliche o private, un divario tra contesto e ruolo in commedia che provoca fastidio e suggerisce l’inadeguatezza di fondo di tanti, troppi. L’estate in più allenta tutti i vincoli, dunque ci può attendere un peggioramento estetico, ma non si tratta di stigmatizzare per l’ennesima volta il politico da spiaggia (senza citare nessuno per amore del buon gusto e del silenzio elettorale); oggi sarebbe altrettanto fuori luogo perfino Aldo Moro che, nei ricordi della figlia Agnese, si mostrava in spiaggia sempre in abito e scarpe nere lucide a beneficio dell’immagine istituzionale: sembrerebbe una presa di distanza eccessiva, mentre una camicia chiara, senza cravatta, sarebbe sufficiente per coniugare forma e comfort. Qual è il punto critico, il punto di rottura che separa la Terracina di Moro da Milano Marittima? A chi dare la colpa, all’imbarbarimento di matrice televisiva riversato nei social e nello stile dei calciatori e delle loro fidanzate? Anche chi nella vita quotidiana rivendica il comfort estremo come unico criterio di scelta, sottovalutando la rassicurazione e il self empowerment dati dall’abito “giusto”, spesso stigmatizza la scarsa cura generale, se non la vera e propria sciatteria degli “altri”, soprattutto di chi è in posizione privilegiata e di visibilità. Alla base ci sono l’idea autoassolutoria che, per sé stessi, i codici non abbiano ragione di essere, insieme con la mancanza di senso critico e la tendenza a proporsi per ciò che si vorrebbe essere, non per ciò che si è.

È una questione che solo superficialmente riguarda la forma fisica, e che intercetta il desiderio di non diventare adulti, un complesso di Peter Pan mutato in stile di vita vestimentario e che vive in una sostanziale perenne nostalgia per il sé adolescente. L’adolescenza è l’età in cui ci si forma come individui e nei gusti attraverso libri, musica, e immaginari che lasciano un segno indelebile, ed è anche l’età in cui è bello rompere le convenzioni, gli schemi fissi e prestabiliti, usare il turpiloquio per sentirsi trasgressivi e mettersi (giustamente, per un quindicenne) al centro dei propri pensieri e del mondo.

Chi ha competenza e cultura della moda sublima la nostalgia dell’adolescenza “rubando” un capo, un accessorio o un dettaglio a collezioni come Miu Miu, che flirta con il bon ton d’altri i tempi e il preppy look, e li perpetua sovvertendone i toni con l’intimo portato all’esterno e le micro lunghezze. Non è un caso che Miu Miu, secondo le analisi dell’aggregatore Lyst (che scrive di “Miu Miu Obsession”) sia il brand attualmente in cima alle ricerche online dei consumatori, presumibilmente non solo Gen Z.

Sul versante opposto, troviamo i look paninari fuori tempo massimo dei nostalgici non abbastanza accorti da sfruttare l’effetto vintage, e chi non viene a patti con l’idea che “una vita in vacanza” o da influencer nella pratica quotidiana non possa esistere.

Il physique du rôle, con il suo complementare opposto, il rôle che il physique suggerisce, non è l’adesione acritica a una norma, piuttosto un’assunzione di responsabilità, di crescere ed esprimersi di conseguenza, perlomeno in contesti nei quali solo apparentemente è tutto permesso, lavoro e occasioni pubbliche (i francesi, più dogmatici di noi, usano la locuzione physique de l’emploi). Se è vero che quando tutto va bene, a livello di consenso, popolarità o anche semplicemente affetto degli amici, essere deliberatamente sopra o fuori le righe è percepito come un segno di originalità e personalità, nei momenti nei quali le cose si mettono male e la popolarità è in calo ci sarà sempre qualcuno al varco ad aspettare ogni passo falso di immagine o di atteggiamento: il dress code c’è anche se non si vede.

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