Il caso della prof. che nega la Resistenza ci dice molto della scuola italiana

In questa vicenda non c’entra il fascismo. La questione è ben più grave: l’istituzione scolastica serve a sviluppare un pensiero critico, non a far imparare a memoria un catechismo

Troppo presi dal catalogo delle conquiste dei ragazzi del liceo classico Visconti, abbiamo lasciato passare in sordina la notizia della professoressa di Reggio Emilia che sostiene la Resistenza sia un’invenzione. E’ accaduto allo scientifico Aldo Moro, dove pare che mercoledì l’insegnante abbia distribuito due volantini: uno contro l’Agenda 2030 dell’Unione europea, l’altro con un’ardita decostruzione dell’operato dei partigiani, fino a parlare di “una resistenza nata dopo l’8 settembre del ’43, pagata dagli Alleati, inventata”.

Il testo completo si trova sull’Ansa, comprese le sgrammaticature e una sintassi che riproduce la fumosità dei pensieri retrostanti. Temo che accanirsi sul cattivo (o mancato) utilizzo dell’italiano da parte degli insegnanti superiori sia inutile – se fior di diplomati non sembrano aver mai rinunciato all’analfabetismo sarà anche colpa di chi hanno trovato in cattedra – e credo che solo un pretestuoso cavillatore possa rinvenire nell’episodio l’ennesima minaccia del fascismo incombente. Merita tuttavia parlarne poiché ci dice tre cosette sulla scuola, che spesso passano sotto silenzio.

Anzitutto l’ignoranza dei docenti. Eliminiamo ogni patina di malafede dai volantini della prof. e rimane una conoscenza quanto meno approssimativa della storia della seconda guerra mondiale. Contro quest’ignoranza tuttavia non si può nulla, nel senso che va reputata endemica. Il miglior professore ammetterà quanto meno a sé stesso che, nella materia che insegna, c’è almeno un argomento che non conosce, o riguardo a cui è istruito in modo sbagliato, avendone maturato radicate convinzioni erronee di cui non si accorge. Nessun genitore si fiderebbe di un insegnante mitomane, convinto di sapere tutto; nessun preside si azzarderebbe a far licenziare un insegnante perché non sa qualcosa.

Stabilito un numero minimo di argomenti da conoscere e di cui parlare a ragion veduta (vale anche per la resistenza), ciò non esclude che ogni gerarchia finisca per suonare arbitraria. Ad esempio: la stessa prof. avrebbe fatto parimenti scandalo se avesse distribuito volantini in cui si diceva convinta dell’autenticità della donazione di Costantino o della coincidenza fra Enrico IV di Navarra ed Enrico IV di Franconia? No, eppure sono entrambi temi chiave nella storia della coscienza europea. A scuola dunque l’ignoranza degli insegnanti resta perdonata anche quando è crassa.


Risulta invece imperdonabile infrangere un codice secondo cui la scuola deve fornire direttive morali tramite degli exempla (vale anche per la resistenza) di cui i docenti devono farsi trasparenti latori. Alla scuola viene chiesto di insegnare a essere buoni. Per questo si dedicano ore alla giornata della memoria, alla giornata del ricordo, alla ludopatia, al cyberbullismo, all’educazione civica, all’educazione affettiva, a tutto quanto si ritenga edificante. Lo si fa, ma col risultato di sottrarre ore di lezione alle materie curricolari, incrementando l’ignoranza degli alunni (e dei docenti: non insegnando non si impara) senza che tuttavia diminuiscano gli atti di teppismo riportati dalle cronache.


E se qualcuno non volesse insegnare a essere buoni? La grossolana iniziativa della docente reggiana è una specie di lente d’ingrandimento su un problema sottilissimo: magari in modo meno cafone e più informato, però la scuola serve a sviluppare un pensiero critico, non a far imparare a memoria un catechismo. Vale soprattutto per la storia e per altre materie umanistiche – come la filosofia o la letteratura – in cui la scienza coincide con l’interpretazione, e il contenuto da insegnare cambia in base al contesto entro cui si spiega uno specifico evento. La formula dell’acqua è uguale su tutti i manuali, Cartesio o Foscolo cambiano su ciascuno. Vale anche per la Resistenza, che può essere presentata sotto diverse luci fermi restando i dati di fatto; e una scuola che impedisse la libera interpretazione informata sarebbe peggio di una scuola che, per quieto vivere, tollera l’ignoranza di chi ci insegna.

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