Google è disposta a cambiare se stessa pur di non perdere il primato

Intelligenza artificiale e nuove tecnologie stanno man mano mettendo in discussione il monopolio di Google tra i motori di ricerca web. La tendenza potrebbe suggerire che il suo domino non sarà eterno e questo porta a immaginare diversi scenari: e se smettesse di portare traffico a siti e giornali?

Per molti anni il web è stato un ambiente strano, difficile da esplorare. Esistevano i “portali”, dei siti che aggregavano link e pagine e fungevano da bussole per questa terra misteriosa. Un giorno di settembre del 1997, nell’ormai mitologico garage della Silicon Valley, nacque Google. Era un mondo diverso, dove stava per montare la bolla del “dot-com” che sarebbe esplosa un paio d’anni dopo, estinguendo molte aziende speranzose del neonato settore digitale. Ma Google resistette e divenne per milioni di persone il nuovo punto d’inizio. La nuova bussola del web.

A quasi trent’anni di distanza, però, la rete ha un aspetto del tutto diverso. Negli ultimi quindici anni il web è stato lentamente divorato, inglobato, dalle grandi piattaforme: i social network come Facebook, Instagram e TikTok, certo, ma anche da Google stessa, che è cresciuta fino a diventare qualcosa di ben più grande di un semplice motore di ricerca.

Da un certo punto di vista, Google è arrivata a coincidere con la ricerca nel web, e questo dominio ha avuto delle conseguenze notevoli. È nata una florida industria che esiste proprio per giocare con l’algoritmo di Google e piazzare i propri contenuti più in alto possibile nei risultati delle ricerche – si chiama Seo (Search Engine Optimization). Su questa Seo puntano da anni giornali, blog, gruppi editoriali e miliardi di siti, che hanno capito che per esistere online bisogna esistere innanzitutto su Google.

Anche questo, però, sta cambiando. Nilay Patel, cofondatore e direttore del sito The Verge, parla da tempo di uno scenario che per qualche anno è sembrato bizzarro e lontano ma che oggi sembra piuttosto probabile. Lo chiama “Google Zero” e si basa su una domanda che pone a colleghi, giornalisti, editori, imprenditori: “Cosa farai quando Google andrà a zero?” Ovvero: che ne sarà del tuo giornale, sito o azienda se Google smettesse di portargli traffico?

La domanda non nasce dal nulla, ovviamente. Per anni il giornalismo ha sfruttato la bonaccia di Facebook, il cui algoritmo assicurò – regalò, quasi – click e visite creando imperi come BuzzFeed. Sappiamo com’è andata a finire: Facebook ha chiuso i rubinetti, poi ha promesso un “pivot to video” per poi ripensarci ancora una volta. A rimetterci sono stati i media, che hanno dovuto imparare a fare a meno di Facebook. Ma il panorama dei referral – le fonti più grandi di traffico per un sito – è in costante evoluzione: lo stesso Patel ha ricordato nel suo podcast “Decoder” che agli albori di The Verge una fonte importantissima per il sito era Yahoo. Sì, Yahoo. Erano i primi anni Dieci del Duemila.

Il traffico, insomma, cambia. Alle volte fonti di click spariscono nel nulla e anche Google potrebbe fare la stessa fine: questa è la base della teoria Google Zero. Si tratta di uno scenario che sembra sempre più vicino, anzi, già in corso: lo scorso marzo Google ha cambiato il suo algoritmo per limitare la spam e la robaccia generata con le AI, ma i cambiamenti hanno messo in ginocchio molti siti “umani”, creando subbuglio nel settore della Seo. A maggio, poi, Google ha lanciato Ai Overviews che subito si è fatto riconoscere per aver dato risposte assurde, sbagliate e a tratti pericolose, come consigliare di aggiungere colla alla pizza o di mangiare una pietra al giorno. Dopo aver smentito la gravità della situazione, il primo giugno Google ha ritirato AI Overviews.

Nel corso dell’annuale evento Google I/O, l’azienda ha presentato AI Overviews con una frase notevole – “Lasciate che sia Google a googlare per voi” –, suggerendo che la “googlata” sia ormai un peso, un gesto vestigiale proveniente da un passato lontano e macchinoso, in cui era l’umano a dover digitare e cercare, districandosi nel web sconfinato. Ora non più, perché le AI sono qui e, certo, alle volte fanno allucinazioni, non capiscono o consigliano pizza alla colla, ma poco importa perché per la prima volta dopo moltissimi anni Google soffre la competizione.

A turbare i sonni di Google sono OpenAI con la sua ChatGPT ma anche Perplexity, prodotto meno discusso che rappresenta proprio un incrocio tra un motore di ricerca e un chatbot, una specie di Google che non si limita a consigliarti link da visitare ma li legge, li riassume e genera una risposta. Sarà questo il futuro? Non è ancora detto, quel che è certo è che Google è disposta a tutto – anche a cambiare se stessa per sempre – pur di non farsi superare.



Screenshot, cose dai nostri schermi” è il podcast di Pietro Minto, online su tutte le piattaforme del Foglio.

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