Tra Ecr e Ppe, il problema di Meloni in Europa ora si chiama Orbán

Con le elezioni alle porte, la presidente del Consiglio deve capire chi appoggiare e quale mossa compiere. Ma a giorni bisognerà scegliere se stare con l’Europa o con chi la sfascia

Il Partito popolare europeo dichiara guerra a Viktor Orbán e Giorgia Meloni deve scegliere da che parte stare. Il premier ungherese pressa per l’ingresso in Ecr, il gruppo dei conservatori europei presieduto dalla premier italiana, e spinge per un grande gruppo delle destre Ue, che vada da Fratelli d’Italia a Marine Le Pen. Ma nel frattempo il Ppe prova a disarcionarlo a Budapest. Meloni per ora prende tempo ma ha capito che, se rimane troppo vicino all’ungherese, rischia la credibilità che si è costruita in Europa in questi mesi.

“Il futuro della destra è nelle mani di due donne: Giorgia Meloni e Marine Le Pen”, commenta furbescamente Orbán alla stampa francese, intervenendo sempre più a gamba tesa nelle grandi manovre della destra europea. Il primo ministro ungherese infatti punzecchia l’Ue, critica la Nato e dispensa consigli, e anche se non è ancora entrato in Ecr, si comporta già come fosse a casa sua. Intanto dal Ppe, vecchia casa di Orbán in Ue, hanno annunciato l’intenzione di assorbire nella prossima legislatura europea proprio Tisza, il movimento di Péter Magyar, l’oppositore ungherese che in questi mesi sta impensierendo l’eterno premier sovranista in carica a Budapest dal 2010. La rapida ascesa elettorale di Magyar, nata da una sequela di scandali di corruzione che hanno colpito il governo orbaniano, può portare la delegazione europea di Tisza a contare fino a 6 eurodeputati. Una delegazione piccola ma preziosa per il Ppe, anche in vista della possibile fiducia a Ursula von der Leyen all’Eurocamera, che nel 2019 passò sul filo del rasoio per soli 9 voti. Su Magyar, il nemico giurato di Orban, i popolari hanno grandi aspettative: fonti del Ppe parlano di un’operazione Tusk, ovvero la speranza (come accaduto in Polonia) che da leader dell’opposizione riunita possa rovesciare Orbán nel 2026 e portare ai popolari la guida di un altro governo in Ue.

Sull’ingresso di Orbán in Ecr, nel frattempo, è però caduto il veto dei conservatori polacchi del PiS, che fino a pochi mesi fa si scagliavano invece contro l’ungherese ritenuto troppo “filorusso”. Da Varsavia fanno infatti sapere di star lavorando per dare al gruppo europeo guidato da Meloni una nuova formula che includa anche l’adesione di Fidesz, il partito del primo ministro ungherese. Apertura a cui è seguita subito una doccia fredda dalla dirigenza del gruppo cristiano conservatore, che ha fatto sapere che in realtà una richiesta formale d’ingresso Orbán non l’ha mai presentata. Fonti Ecr, tuttavia, confermano al Foglio che ormai gli unici ancora non del tutto convinti a dare il benvenuto all’ungherese sono proprio i meloniani e aggiungono che, a conti fatti, se questo matrimonio ancora non si è realizzato, è perché la premier italiana non intende bruciarsi tutte le sue carte di collaborazione con il centrodestra europeo.


Nel frattempo, nonostante gli attacchi dei Verdi e dei Socialisti contro le “aperture all’estrema destra”, dal Ppe non abbandonano la speranza di collaborare con Meloni, che von der Leyen continua a descrivere come una “leader europeista” e “un’amica di Kyiv”. Associarsi con Orbán però per Meloni vorrebbe dire distruggere questo profilo, costruito negli ultimi mesi grazie a una serie di concessioni mirate sui temi chiave della politica europea.

E infatti la presidente del Consiglio italiana rimanda la scelta su Orbán per capire quale sarà il messaggio che uscirà dalle urne questo fine settimana e quali saranno le alleanze alla base della prossima Commissione europea, sia che passi un bis di von der Leyen, sia che si realizzi l’ipotesi Draghi. Rimanda anche per capire cosa le conviene fare e chi le conviene appoggiare, ma i tempi per rimandare si restringono: tra una settimana bisognerà infatti scegliere se stare con chi l’Europa la fa o con chi la sfascia.

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