Sinner resta un numero 1 anche nella sconfitta

Al Roland Garros l’altoatesino viene battuto da Alcaraz in cinque set, cede con il fisico, ma non con la testa. E riesce pure a sorridere

Già ce li immaginiamo, tra una quindicina d’anni, piangere mentre si tengono la mano dopo l’annuncio del ritiro di uno dei due. Federer e Nadal hanno trovato i loro eredi. Per eleganza, educazione, compostezza e stima reciproca. Due avversari che si rispettano come se la loro sfida sportiva fosse un servizio fotografico firmato da Annie Leibovitz. Alcaraz e Sinner sono capaci di fermarsi nel bel mezzo della battaglia per chiedersi se è il caso di mandare una bottiglietta d’acqua gasata a chi si è appena sentito male in tribuna. Potrebbero sfidarsi senza bisogno di un arbitro, tanto si rispettano. Hanno tutto per regnare sul tennis dei prossimi anni con la stessa eleganza dei tre moschettieri che li hanno preceduti. La semifinale di Parigi, intensa come una finale (2-6, 6-3, 3-6, 6-4, 6-3 dopo 4 ore e 9 minuti), si è trasformata in un libro in cui gli autori hanno inserito di tutto. Pagine piene d’amore, ma anche di dolore, di paura, di speranza, di scoramento. Tutto quello che può regalarti in un pomeriggio una partita di grande tennis tra due grandi campioni che sono anche due grandi persone, due amici che in fin dei conti si vogliono bene e alla fine magari avrebbero fatto come Tamberi e Barshim a Tokyo se qualcuno glielo avesse chiesto e lo sport non fosse anche estrema crudeltà. Sinner ci ha trovato la gioia, l’illusione di scappare via, il dolore sotto forma di un crampo alla mano destra, la forza di reagire e di scappare ancora e poi l’amarezza di un finale diverso da quello che sognava qualche anno prima. Alcaraz, che ha rischiato di sprofondare nel pozzo all’inizio della partita, ha invece avuto la forza mentale di non arrendersi, restando aggrappato alla partita in attesa che il vento cambiasse.

La loro non è stata solo una partita di tennis, ma un’infinita battaglia per la sopravvivenza con ombre che andavano e venivano e scambi durissimi anche all’inizio del quinto set dopo 3 ore e 25 minuti di gioco. Ad un certo punto avevano il fiatone tutti e due. Hanno fatto la fine delle arance sullo spremiagrumi, alla fine sono rimasti senza una goccia di energia. Con il fisico stremato hanno provato a lasciar guidare la testa, un requisito indispensabile per chi fa questo sport. Quella testa che prima all’uno e poi all’altro ha permesso di andare avanti anche quando la spia della riserva si era accesa e le forze ormai se ne stavano andando. Quando uno sembrava prendere il sopravvento, l’altro lo riprendeva e gli rimetteva la testa sott’acqua. Avete presente quei pupazzetti sempre in piedi di una volta, quelli che non cadevano mai. Sono andati avanti così per quattro set, poi al quinto lo spagnolo è scappato via definitivamente con Sinner fermato dal fisico più che dal talento o dalla testa. Anzi, in un giorno così difficile, nella prima partita da numero uno annunciato contro l’avversario peggiore che potesse capitargli, Jannik ha dimostrato di essere un giocatore speciale, uno di quelli che anche nel momento più buio, quando i crampi ti bloccano la mano destra, vedono la luce da inseguire in fondo al tunnel e ci provano con tutte le forze. È riuscito a risalire dalla crisi del secondo set, a riprendersi dal crampo che gli aveva aggredito la mano destra. Vincendo il terzo set era addirittura riuscito a rimettere la testa davanti. Contro un altro avversario sarebbe bastato, contro Alcaraz no, perché lo spagnolo ha giocato un match quasi perfetto risalendo due volte la corrente e riprendendosi in mano il suo destino, mentre Jannik sentiva le forze scappargli via come in quel game dopo un’ora di gioco in cui gli era improvvisamente sparito il servizio.

Questa è una di quelle sconfitte che insegnano a diventare ancora più forti. Sinner cerca di migliorarsi dopo una vittoria, pensa a come crescere anche un minuto dopo aver saputo che da lunedì sarà il numero 1. Figuratevi che cosa farà adesso, dopo aver perso la semifinale di Parigi, dopo aver accarezzato il sogno ed essersi ritrovato in vantaggio di un set. Allo stremo delle forze, sotto 3-1 al quinto set, si è inventato un colpo pazzesco, facendo aggirare la rete dalla palla e piazzandola imprendibile nell’angolino. Il segnale che la testa c’era ancora, che avrebbe combattuto davvero fino all’ultima goccia di energia. Anche in un giorno diventato via via più difficile, contro un avversario tra i più difficili che ti possano capitare su certe superfici, Jannik ha giocato con quella generosità e quella voglia di resistere che trovi solo nei grandissimi campioni. D’altra parte lui allena il corpo e anche la mente. Vuole scoprire i segreti dei suoi muscoli, ma anche quelli del suo cervello. Lavora per limare i suoi limiti, per capire come può migliorare sempre. Nella partita infinita con Alcaraz si è visto tante volte come la testa gli abbia fatto fare cose impensabili per il suo corpo, come il cervello stesse cercando di prendere il sopravvento sui muscoli. A scacchi avrebbe vinto lui che sul 4-2 del quinto set era riuscito a riaccendere ancora una volta la luce, sfiorando il break che avrebbe forse fatto cambiare un’ultima volta la partita. Non è il modo in cui sognava di diventare numero uno. Per il ritiro di Djokovic e dopo una sconfitta con Alcaraz.

Ma adesso sul tetto del mondo del tennis c’è lui. E anche dopo una sconfitta come questa sa che nessuno potrà dargli dell’usurpatore. Nella sconfitta ha dimostrato di poter essere un numero 1 per tanto tempo. La testa c’è, la forza e la resistenza arriveranno. Uno che riesce a perdere con un piccolo sorriso sul volto, può davvero battere qualsiasi avversario. Anche se con Alcaraz sarà sempre una battaglia estenuante.

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