L’Università di Torino continua a sottostare alle richieste dei pro Pal. A danno degli studenti

Il rettore Geuna, dopo aver accolto le richieste di boicottaggio, dopo settimane di occupazione continua a tentennare. E c’è chi sta valutando l’abbandono agli studi

E’ stato il primo a cedere alle richieste dei collettivi pro Palestina. Eppure il rettore dell’Università di Torino Stefano Geuna continua a essere sotto scacco dell’Intifada studentesca. Con il risultato che da oltre tre settimane nella sede principale dell’ateneo, Palazzo Nuovo, dove hanno luogo i corsi della facoltà di Scienze umanistiche, non si possono tenere né lezioni né esami. Questo perché gli “acampados”, non soddisfatti della mancata partecipazione al bando del ministero degli Esteri, chiedono al rettore e al Senato accademico di affrontare diverse mozioni in cui reclamano l’interruzione totale delle collaborazioni con gli atenei israeliani. Sulla scia di quanto fatto, per esempio, all’Università di Palermo.

Subito dopo il sermone dell’imam che inneggiava contro Israele nel bel mezzo dell’occupazione a Palazzo Nuovo, Geuna era finito nel calderone delle polemiche. Subito era stato invitato dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini a stigmatizzare l’accaduto. Cosa che ha poi fatto parlando di università “che devono restare un luogo laico”. Ma evidentemente senza prendere contromisure efficaci, visto che gli accampati sono rimasti all’interno dell’ateneo e la didattica ha continuato a svolgersi solamente online. La scorsa settimana, stremati dalla situazione, circa 400 studenti hanno scritto all’associazione Run UniTo, denunciando le difficoltà del poter anche solo portare avanti gli studi. Molti hanno messo in risalto l’impossibilità di iniziare normalmente la sessione di esami, la cui finestra si è aperta a maggio. Mentre alcuni di loro hanno persino paventato l’opzione di disiscriversi dall’università, a causa del “clima di guerriglia perenne” che si respira oramai da mesi. E’ un sentore sempre più diffuso nei campus. E ricorda molto quanto hanno fatto gli studenti dell’Università statale di Milano, che due settimane fa hanno scritto una lettera al Senato accademico per chiedere di porre fine all’occupazione. Cosa che poi è avvenuta.

A Torino però anche i docenti hanno chiesto al rettore di prendere le contromisure. Ma quando hanno visto che i collettivi pro Palestina continuavano a farla da padrone, alcuni di loro hanno preferito cancellare la sessione di esame, piuttosto che “sottostare al loro ricatto”. Fatto sta che la grande soluzione individuata dal rettore Geuna è stata in pratica una non soluzione. “In uno dei primi giorni della prossima settimana abbiamo concordato con le studentesse e gli studenti un incontro nel quale le varie rappresentanze potranno presentare e illustrare delle mozioni che verranno poi portate nei giorni successivi nel più breve tempo possibile agli organi per le valutazioni del caso”, ha detto Geuna. “Da un lato vogliamo andare avanti e prendere estremamente sul serio le mozioni che verranno presentate da studentesse e studenti che verranno poi riportate negli organi che si svolgono non alla presenza di estranei e dall’altro lato vedere che questo possa portare a una riduzione delle tensioni che non sono da noi nelle ultime settimane si sono viste nelle università”. In pratica si dà carta bianca alle rivendicazioni dei collettivi. Ma l’effetto comico è che fino ad allora l’occupazione andrà avanti. In modo da rendere ancora più evidente quanto all’Università di Torino il rettore dia più ascolto al rumore e alle prepotenze che non alle rivendicazioni di chi vuole semplicemente studiare.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.

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