Il ritardo iniziale della Bce ad aumentare i tassi si è tramutato ora in un ritardo nel diminuirli

C​ome largamente atteso, il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha abbassato i tassi d’interesse a breve termine, che essa controlla. Come pure era atteso, li ha ridotti soltanto di un quarto di punto percentuale. All’unanimità meno uno. Questa decisione apre due interrogativi: si poteva fare diversamente? Se sì, perché non lo si è fatto? ​Cominciamo col rispondere alla prima domanda. Da quel che s’intuisce delle discussioni all’interno del consiglio, ormai persino i più falchi dei falchi si erano persuasi (rassegnati?) a iniziare dalla riunione del 6 giugno un percorso di discesa dei tassi d’interesse. In 14 mesi, dal luglio 2022 al settembre 2023, vi erano stati dieci aumenti consecutivi, da -0,50 a 4 per cento (tasso sulle principali operazioni di rifinanziamento delle banche), seguiti da una stasi durata altri otto mesi e mezzo. Gli aumenti erano motivati dal rialzo dell’inflazione nell’area dell’euro, innescato dalla ripresa dell’economia dopo la pandemia e ulteriormente alimentato dall’aggressione russa all’Ucraina, che aveva fatto schizzare in alto i prezzi delle fonti di energia. Il rialzo era iniziato già al principio del 2021, quindi la prima reazione restrittiva della Bce arrivò solo dopo un anno e mezzo, quando l’inflazione nell’area aveva raggiunto il 9 per cento.

 

La lunga esitazione era dipesa dal convincimento che la fiammata inflazionistica fosse temporanea, convincimento corretto ma che ne sottostimava la durata, prolungata dall’inattesa guerra in Ucraina. Vi si aggiungeva lo spavento recente della profondissima recessione causata dalla pandemia e il timore di far abortire la ripresa con una non necessaria manovra restrittiva. Sta di fatto che il ritardo si sta probabilmente manifestando anche nella fase attuale di rientro. La disinflazione è cominciata da ottobre del 2023 , ma da allora i tassi non sono scesi, sono rimasti invariati fino a ieri. Ovviamente non può esserci un legame puntuale fra tassi di interesse e inflazione presente, la politica monetaria deve mirare a stabilizzare i prezzi al consumo nel medio termine (uno o due anni avanti) intorno all’obiettivo del 2 per cento, impedendo che montino aspettative d’inflazione per il futuro. Tuttavia persiste l’impressione che il ritardo nell’aumentare si sia trascinato avanti e tramutato in un ritardo nel diminuire. ​Dunque sì, si poteva fare diversamente: avendo tardato a diminuire i tassi si poteva essere ieri più decisi e farli scendere almeno di mezzo punto percentuale.

 

​Questo ci porta alla seconda domanda, come mai non lo si è fatto? Per darsi una risposta occorre entrare negli interna corporis del consiglio direttivo della Bce, l’organo collegiale che prende le decisioni di politica monetaria. Il consiglio è composto da 26 membri: i governatori/presidenti delle 20 banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro più i 6 membri del  comitato esecutivo (Ce), che comprendono il/la presidente e siedono in permanenza a Francoforte. Ma votano ogni mese solo in 21: i 6 del Ce votano sempre, mentre gli altri 20 fanno turni. Il capo di una delle 5 banche centrali più grandi (tedesca, francese, italiana, spagnola, olandese) vota nell’80 per cento dei casi, quello di una delle altre quindici in poco più del 70 per cento. Del Ce fa parte l’italiano Piero Cipollone. L’altro italiano, Fabio Panetta, in quanto governatore della Banca d’Italia fa parte del resto del consiglio direttivo. Le decisioni sono autenticamente collegiali, anche se la voce di alcuni può essere più ascoltata di quella di altri, o per capacità personali o per importanza del paese di origine. I membri del Ce possono essere particolarmente influenti, non tanto perché votano sempre quanto per il fatto di essere vicini allo staff tecnico da cui promanano le proposte.

 

​Quali incentivi hanno queste 26 persone? Qui bisogna ricordare che il mandato affidato dai Trattati all’Eurosistema è monolitico: la stabilità dei prezzi. Solo molto secondariamente ci si può preoccupare della congiuntura economica. Non è così nel caso della Fed, la banca centrale americana, che ha un mandato duale: prezzi ed economia reale. Ne consegue che per un banchiere centrale europeo il rischio massimo è quello di essere incolpato di non fare abbastanza per mantenere i prezzi stabili, accusa molto più grave di quella opposta di avere inutilmente mandato l’economia in recessione per comprimere un’inflazione inesistente (con la parziale eccezione degli eventi straordinari legati alla pandemia). Lo ha dimostrato, ove mai ce ne fosse bisogno, il tono di alcune domande dei giornalisti nella conferenza stampa che la presidente Lagarde ha dato dopo la riunione del consiglio direttivo della Bce, preoccupate che la decisione di taglio giungesse troppo presto. Vi si aggiunge la mentalità rigida di alcuni paesi nordeuropei (in primis la Germania) che tende a vedere nell’ordine monetario un valore assoluto, da preservare a qualunque costo, anche quello di un impoverimento della società. ​A contrastare incentivi distorti e fissazioni ordoliberali ci sono soltanto la razionalità economica e la coscienza di chi la applica.

Leave a comment

Your email address will not be published.