Come sta Robert Fico? I silenzi, il giornalista sospeso e infine il video tanto atteso

L’attentato al premier slovacco apre una serie di scenari e dubbi tangibili sulla validità della comunicazione pubblica all’interno del paese. Un programma televisivo è stato silenziato, e molti si aspettavano una risposta sui canali social dello stesso Fico: è arrivata

Dall’attentato al primo ministro della Slovacchia Robert Fico sono passate tre settimane. Ieri al telefono una mia amica mi ha chiesto: allora, vive? In effetti, dopo i primi giorni in cui i media ne hanno parlato ovunque, le informazioni avevano iniziato a scarseggiare e non solo in Italia e soltanto ieri è apparso il primo video del premier dopo l’operazione. All’inizio era stato il ministro della Difesa a informare della salute del premier. Mi era sembrato un po’ strano, ma Robert Kalinák è l’uomo più vicino a Fico, il suo vice, un collega di lunga data, forse anche un amico. Era scosso, era legittimato a parlare delle condizioni del primo ministro, una legittimazione data dalla vicinanza, dalla relazione umana. Nei giorni seguenti dopo l’attacco, nessun medico ha riferito delle condizioni di Fico. La pagina Facebook dell’ospedale di Banská Bystrica postava resoconti stringati e vaghi: il premier sta migliorando, le sue condizioni sono stabili. Anche io, come tanti, ho cercato di capire, di indagare come stava Robert Fico.

Domenica 26 maggio, sulla tv Markíza, Michal Kovacic, il moderatore nel dibattito politico “Na telo”, alla fine del programma ha detto che lui e i suoi colleghi negli ultimi mesi sono stati invitati dalla redazione e dal management della televisione a occuparsi meno di politica e a essere meno critici. Kovacic ha affermato in televisione che in Slovacchia sta avvenendo una “silenziosa orbanizzazione”. Subito dopo questo commento conclusivo, la trasmissione “Na telo”, la più seguita in Slovacchia, è stata sospesa, al giornalista hanno tolto l’email aziendale e gli hanno detto di rimanere a casa.

Markíza è stata la prima televisione commerciale in Slovacchia, ha iniziato a trasmettere il 31 agosto 1996. Nella tv pubblica la libertà di parola non esisteva fino alla rivoluzione nel ’89 ma anche dopo, in realtà, la programmazione seguiva le volontà di chi era al governo. E come un vecchio vizio, è difficile toglierlo anche oggi. Nel 1998 studiavo teatro all’Accademia di Belle Arti e ogni tanto per arrotondare facevo la comparsa negli studi di Markíza. Una volta dovevo fare la mascotte in un programma per bambini, indossavo un enorme overall a forma di pappagallo, sbattevo le ali e svolazzavo su e giù attorno agli ospiti. Mi ricordo che sudavo, e nelle pause uscivo fuori, mi toglievo la testa del pappagallo, la mettevo sotto il braccio e mi fumavo una sigaretta.

Robert Fico invece, a quel tempo, manifestava davanti a Markíza, chiedeva che l’emittente non mostrasse soltanto ciò che il potere voleva fosse mostrato, ma trasmettesse informazioni oggettive, critiche e sì anche scioccanti se necessario, solo così la libertà di parola sarebbe stata preservata. Ed è stato anche grazie a questa nuova piccola tv, e forse anche grazie alla manifestazione di Fico, che Vladimir Meciar in quel momento, con il suo autoritarismo, è stato sconfitto e i tempi bui della Slovacchia sembravano finiti.

La tv Markíza negli anni ha tentato di garantire la libertà di parola con un giornalismo neutro, oggettivo, il suo telegiornale alle sette e mezza è ancora il più seguito del paese. Adesso 125 dipendenti hanno firmato una dichiarazione per sostenere il loro collega, e ora stanno scioperando. Sul web c’è anche chi festeggia: per chi crede che i media mainstream mentano la cancellazione della trasmissione “Na telo” è una conquista.

L’altro ieri ho scoperto che Robert Fico è stato dimesso, è a casa, a Bratislava. Non si sapeva ancora nulla di preciso, le informazioni sulla sua salute assomigliano ai rumors aziendali: un ministro dice che l’intestino tenue di Fico è stato perforato cinque volte, un altro che cammina con le stampelle e che la sua anca danneggiata forse dovrà essere operata. Non è sicuro niente, con mia madre non ne parliamo, quando la chiamo, mi racconta delle passeggiate che riesce a fare in questi giorni con le sue amiche. Con le amiche invece parlano anche di Fico. No, non sappiamo come sta, devi aspettare il video, mi diceva. E infatti il video è uscito proprio come pianificato: dal suo salone, davanti alla telecamera, nessuna domanda scomoda, nessun giornalista irriverente, ha iniziato dicendo che spera di tornare a lavoro tra giugno e luglio. Poi ha aggiunto: “E’ arrivato per me il momento di fare la prima mossa: perdonare”. Non denuncerà, ma il perdono nascondeva altro, la minaccia e la sua nuova campagna: “Lui è solo un messaggero del male e dell’odio politico che un’opposizione politicamente fallita e frustrata ha sviluppato in proporzioni ingestibili in Slovacchia”.

Sabato primo giugno Viktor Orbán alla marcia per la pace a Budapest ha dichiarato che hanno sparato a Robert Fico perché lui è il vero sostenitore della pace, ha concluso il suo discorso con “ritorna presto Robert”.

Il format del dibattito pubblico è cambiato, le conversazioni politiche si sono spostate sui social e spesso sono monologanti. Anne Applebaum nel libro “Il tramonto della democrazia” scrive: “Per fare appello a coloro che hanno una predisposizione autoritaria non c’è più bisogno di creare un movimento scendendo in piazza. Si può crearne uno da un ufficio, seduto davanti a un computer”. I politici, quelli esperti, lo sanno già. Lo sa anche Robert Fico.

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