Reeves e Rayner: ecco le regine del Labour

Rachel Reeves fa i conti al Regno Unito e tiene in equilibrio l’offerta pro business e pro lavoratori. Angela Rayner costruisce il ponte con l’elettorato più a sinistra. La chimica disinvolta di una nuova leadership

Stretti tra due figure di spicco, femminili e potenti, fanno fatica a farsi conoscere, i membri del nuovo Labour. Un po’ perché dar prova di una cautela ai limiti dell’inconsistenza è stato l’ordine di scuderia fino a poco tempo fa, un po’ perché ci sono personalità che, insieme a quella centrale (e sommamente cauta) di Keir Starmer, rubano la scena a chiunque cerchi un po’ di luci della ribalta a poco più di trenta giorni dal voto. La prima è Rachel Reeves, cancelliera dello Scacchiere ombra dalla visione ondivaga ma espressa con piglio perentorio, braccio destro del leader laburista nella messa a punto di una ricetta economica ricca di buon senso e povera di dettagli che è valsa comunque il plauso delle imprese britanniche, dopo una lunga operazione di corteggiamento a colazione delle società quotate del Ftse soprannominata “l’assalto al salmone affumicato”, iniziativa che riecheggia le “offensive al cocktail di gamberetti” di Tony Blair nel 1997, quando la City nuotava nella salsa rosa e i gusti erano meno claustrali. La seconda è Angela Rayner, che se tutto andrà come sembra – Labour in vantaggio netto, Tory esangui dopo 14 anni di governo e di instabilità autoinflitta – diventerà la prossima vicepremier britannica, garante dell’ala sinistra del partito e portatrice di un appeal popolare enorme grazie al suo fortissimo accento di Manchester e alla sua storia di ragazza madre in una council house di Stockport, figlia di una donna bipolare che un giorno le servì della schiuma da barba al posto della panna montata perché non sapeva leggere le etichette.

Sono loro a riassumere le due anime di un Londra che dopo un pazientissimo lavoro di costruzione e ricucitura è riuscito a emergere dalla palude dell’ineleggibilità a cui lo aveva condannato la gestione di Jeremy Corbyn: ora i sondaggi lo danno al 45 per cento, contro il 23 dei conservatori, e con tutto quello che si può dire dei sondaggi dopo la Brexit si tratta di un risultato straordinario. Uno di quelli che si ha il terrore di vedere evaporare, come dimostra la chioma tutt’a un tratto canuta di Starmer, che insieme a Reeves ha incassato una lettera di approvazione da parte di 121 imprenditori britannici, convinti che sia “il momento di cambiare” e che il Labour ha più possibilità di offrire quella stabilità di cui il paese ha disperatamente bisogno dopo gli anni folli della Brexit, di Boris Johnson e della finanziaria più pazza del mondo di Liz Truss.

Fredda come un’economista a detta di tutti, ex campionessa giovanile di scacchi, Reeves è nata a Lewisham in una famiglia di insegnanti, nel 1979, e ha studiato a Oxford e alla London School of Economics nonostante le origini modeste, arrivando a lavorare alla Banca d’Inghilterra prima di un periodo alla Halifax Bank of Scotland – finanza sì, ma non di quella rapace in stile Goldman Sachs, che le aveva offerto un posto e che lei ha rifiutato, nonostante lo stipendio mirabolante – e dell’approdo a Westminster nel 2010 come deputata del seggio di Leeds West. Il suo astro moderato e quasi tecnocratico si è offuscato parecchio durante la stagione corbyniana, sebbene nel 2018 Reeves avesse ipotizzato una tassa sul patrimonio in grado di raccogliere 20 miliardi di sterline l’anno, misura che addirittura John McDonnell, il cancelliere ombra di Corbyn, aveva definito un po’ eccessiva. Reeves ogni tanto deraglia, come quando il suo attesissimo libro sulle donne che hanno fatto l’economia moderna si rivelò pieno di sciattissimi copia-e-incolla da Wikipedia nell’ottobre scorso, ma dell’incidente non si è più parlato, mentre la tassa sul patrimonio viene rubricata come idea appartenente a un’epoca passata. L’epoca presente richiede decisamente meno estremismo e molto più pragmatismo, meno ideologia: ci sono delle cose che fanno stare meglio le persone e, secondo Reeves, non sono né di destra né di sinistra. Il problema è come finanziarle, queste cose: lei ha messo ben in chiaro che non intende alzare le tasse, né tantomeno l’Iva, al di là di un paio di annunci già fatti sulla tassazione delle scuole private, dove l’Iva verrebbe invece imposta sottraendo lo statuto di charity, su quella dei bonus nel settore delle private equity e sugli extraprofitti delle compagnie energetiche. Ad Alastair Campbell e Rory Stewart che nel loro podcast le chiedevano della reputazione di “ruthless”, di spietati, che sia lei sia Keir Starmer hanno, ha risposto di esserne ben felice se questo significa essere rispettata e credibile, dal momento che in vista di un possibile cambio di stagione politica non saranno pochi i gruppi di interesse che verranno a battere cassa dal nuovo governo. “Non prendo impegni se non so da dove prendo i soldi”, ha ribadito, mettendo il dito nella piaga di quello che resta il problema principale di un progetto politico che finora ha funzionato proprio grazie alla sua vaghezza e all’aver proiettato un’immagine di responsabilità fiscale, incarnata da Reeves.


“Non prendo impegni se non so da dove prendo i soldi”, dice Reeves, economista glaciale ex campionessa di scacchi


La squadra laburista ha superato a pieni voti o quasi la questione identitaria, riuscendo a dare un’immagine unitaria o quasi – incidenti come quello di Diane Abbott o della vecchia guardia corbyniana che pretende di essere ricandidata andavano gestiti per tempo e invece stanno rubando molto spazio sulle prime pagine – dopo anni di spaccature sia interne al partito sia nazionali, ma anche chi ne auspica la vittoria non riesce a trovare una risposta chiara alla domanda su come verrà finanziato il servizio sanitario nazionale, l’Nhs, ormai ridotto ben oltre l’osso, così come tutti gli altri servizi del welfare state. “Sound money”, dice lei, soldi solidi, quelli che possono venire solo da un’economia in forma, con la crescita più alta – tutta da costruire – tra quella dei paesi del G7. Solo così, secondo lei e Starmer, si possono finanziare i servizi, e di questa formula magica non si conoscono i dettagli, gli ingredienti della pozione: ci vorrebbe una Cool Britannia, mentre qui siamo più a “dateci una chance, vi sorprenderemo”. La fine dello statuto speciale per i milionari non domiciliati porterà 5 miliardi di sterline nelle casse dello stato e le riforme nel settore della pianificazione urbana sicuramente daranno slancio al settore delle costruzioni, tutto questo unito al fatto che la fine dell’incertezza vertiginosa degli ultimi otto anni almeno di governo conservatore dovrebbero rassicurare gli investitori.

Rispetto al governo di Tony Blair, di cui i perfidi dicono che Starmer&Co sembrano una tribute band, c’è meno sete di globalizzazione, un vaghissimo ripiegamento nazionale in linea con l’onda lunga di quello che Reeves considera un verdetto delle urne, la Brexit, da aggiustare ma non da toccare nell’essenza. Lei che ha votato remain rimane euroagnostica, l’importante è non tornare alle atmosfere tossiche che hanno portato alla fine di una donna che ammira molto, Theresa May, e che ricorda sia nell’eloquio sia nel piglio moralista con cui porta avanti il dossier delle retribuzioni dei manager: vorrebbe che le aziende pubblicassero la proporzione tra gli stipendi dei dipendenti e quelle dei vertici e che mettessero due dipendenti nel board. Il Financial Times è andato a parlare con gli imprenditori che hanno avuto a che fare con lei in passato, quando presiedeva la commissione per le imprese della Camera. E tutti hanno detto che è una spigolosa, preparatissima, pronta a dare battaglia ma sempre su questioni che hanno un consenso ampio. E poi anche Rachel Reeves dispone dell’accessorio politico del momento: una sorella deputata, Ellie, sposata con il presidente del partito parlamentare, John Cryer, cresciuta da una madre separata che a fine mese studiava gli estratti conto per vedere se tutte le spese erano giuste, se i magri conti tornavano.

Essere “pro imprese e pro lavoratori” è un lavoro di equilibrio fine, e Starmer ha dato ad Angela Rayner il compito di farsi paladina dei diritti: chioma fulva e parlantina sciolta, ha in comune con Reeves (e Starmer) il fatto di essere meno ideologica del previsto. “E’ molto divertente parlarle”, spiegano tutti, e l’immagine della donna simpatica e disinvolta è corroborata dal tipo di problemi che ha incontrato e degli attacchi che riceve, sessisti, classisti. Quella che potrebbe essere la prossima vicepremier è reduce dall’archiviazione di un’indagine sulla vendita di una casa popolare, sulla cui plusvalenza non avrebbe pagato le tasse – 3.500 sterline nel peggiore dei casi – avendola dichiarata prima abitazione. Il Daily Mail, che la detesta, l’ha soprannominata “Angela Due Case”, e lo scandalo nasce da una biografia non autorizzata scritta da Lord Ashcroft in cui si dà fondo a molti dei pregiudizi che la deputata attira su di sé da sempre, per essere una donna working class in un mondo di privilegiati o per il modo in cui enfatizza il suo essere una donna working class in un mondo di privilegiati. Diventata madre a 16 e nonna a 37, è tornata sui banchi di scuola dopo il parto per diventare assistente sociale, specializzandosi in linguaggio dei segni. Sveglia, pugnace, fa una rapida carriera come sindacalista arrivando a essere la delegata di Unison per il nord-ovest, giovanissima appresentante di 200 mila lavoratori. Sposa un collega, Mark Rayner, da cui divorzia dieci anni dopo, nel 2020. Era nelle prime file di Corbyn, anche se ha abiurato dicendo di essere socialista ma non corbynista, e Starmer a un certo punto ha cercato di farla fuori, ma lei ha resistito ed è finita nel governo ombra, fino ad avere il ruolo di responsabile del levelling up, della parità sociale.


La formula delle “tre R” di Rayner per definire il messaggio del partito: radicale, realistico, responsabile


La sua formula magica sono le tre R – “radicale, realistico e responsabile” – e sostiene che i principi non devono essere un ostacolo quando si tratta di fare l’interesse dei cittadini, dichiarando di voler essere una “John Prescott in gonnella”, forse perché ha la reputazione di una che parla chiaro. Peter Mandelson, che la sa lunga, dice che è di “centrosinistra, sinistra morbida”, altri dicono che è semplicemente opportunista e ha convinzioni ballerine che vanno dove le conviene. A questa bad girl di un Labour borghese è stato dato il compito di portare avanti una riforma del mercato del lavoro che ha un sapore di sinistra-sinistra, perché vede un ritorno del potere dei sindacati. Il Labour vuole rendere più facile aderire a una sigla e aumentare i diritti, sia per i congedi di malattia, possibili fin dal primo giorno (mentre ora ci vogliono due anni per maturarli, il periodo più lungo nell’Oecd), oppure i famosi zero-hour in cui un lavoratore non ha diritto a un numero minimo di ore a settimana, la cosa andrà invece definita dopo 12 settimane. La Low Pay Commission, che si occupa di stabilire il salario minimo, dovrà tenere conto del costo della vita. Ovviamente dal settore alberghiero e da quello della ristorazione si sono levate grida di protesta, che la protezione dal licenziamento senza giusta causa scatti dal primo giorno sarà una zavorra, dicono, con 9,4 milioni di britannici di età lavorativa fuori dal mercato del lavoro, indisponibili per ragioni varie tra cui la malattia mentale, bisogna creare movimento, non muri.


Secondo i Tory Rayner intende trasformare il Regno Unito in un paese sindacalizzato alla francese, ma intanto il paese sta sognando un altro sogno, quello dei competenti al governo, quelli seri, quelli che hanno sedato le risse nel partito e ora hanno solo bisogno di sedare le risse nel paese per qualche settimana prima di voltare pagina, aprire una stagione che abbia quel sapore un po’ indefinibile di nuovo.

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