Ecco come Ancelotti può essere incoronato Carlo V al tempio di Wembley

Per il Real Madrid doveva essere una stagione di transizione, oggi invece cerca la quindicesima Champions: stasera dalle 21 si gioca con il Borussia Dortmund la possibilità di vincere un’altra coppa

Sarà il tempio di Wembley, lo stadio più iconico del mondo, il luogo dell’incoronazione di re Carlo V? Poche ore e lo sapremo. Ancelotti l’ha sempre detto, l’ha scritto pure sulla copertina di un suo libro autobiografico: “Preferisco la coppa”. In panchina ne ha assaporata tanta, soprattutto quella dalle grandi orecchie. Alzata, appunto, quattro volte in carriera, come mai nessuno. Se oltre alla panchina aggiungiamo il campo, ecco anche le due vinte da calciatore: sei totali. Il 10 luglio di un anno fa nessuno avrebbe scommesso su un Real Madrid così imperiale, una squadra che ha già messo in bacheca Liga e Supercoppa spagnola e che stasera dalle 21 si gioca con il Borussia Dortmund la possibilità di vincere la Decimoquinta, la quindicesima Coppa dei Campioni della sua storia. Gli spagnoli, appassionati di numerologia applicata al calcio, non hanno dimenticato la fatica per arrivare alla Decima e sperano, stavolta, di raggiungere al primo tentativo il numero mezzo tondo.

Tornando a luglio, la stagione veniva catalogata tra quelle “di transizione”. Sembrava dovesse essere l’ultimo anno di Ancelotti prima di andare ad allenare il Brasile con, di contorno, il completamento del nuovo Santiago Bernabeu, l’addio di Benzema e l’attesa per l’annunciato arrivo di Mbappé per il 24/25. Niente di tutto questo: la squadra potrebbe chiudere la stagione in maniera indimenticabile. Con la consapevolezza che, qualsiasi sia il risultato londinese, Ancelotti continuerà ad andare… in blanco fino al 2026, data di scadenza del contratto rinnovato a fine dicembre. Florentino Perez, che lo richiamò nel 2021 sei anni dopo la fine della prima esperienza (non convintissimo tanto che prima ci provò con Allegri), è tornato a ripetere come un disco rotto che Carlo “è l’allenatore perfetto per noi”. Certo, dove lo trovi uno capace di far coesistere amabilmente campioni e giocatori emergenti, di gestire con serafica freddezza nella stagione 23/24 quello che lui stesso ha definito “il record mondiale degli infortuni”? Il sopracciglio ha continuato ad alzarsi davanti ai bollettini medici che fermavano Curtois, Militao e Alaba per un’infinità di mesi, Vinicius, Tchouameni e Camavinga per un buon numero di partite.

Imperturbabile, ha sempre trovato le soluzioni migliori. Onorando il comandamento di Alfredo Di Stefano, stampato nella sua mente come sulle mura dello spogliatoio di Valdebebas: “Nessun giocatore è forte come noi tutti insieme”. Tanto che, prima di Wembley, il Real Madrid ha perso durante la stagione solo una volta nei 90 minuti: il 24 settembre in casa dei cugini dell’Atletico. Per il resto una marcia trionfale: campionato vinto senza affanni, finale di Champions conquistata con la calma dei forti grazie a una fase a gironi impeccabile, un ottavo sofferto nel ritorno col Lipsia, la clamorosa eliminazione dei campioni in carica del Manchester City per finire col Bayern Monaco piegato dall’uno-due di Joselu dall’88esimo al 91esimo nel ritorno della semifinale.

Ancelotti ci ha messo molto del suo: nel momento di crisi, il giorno dopo quel derby contro i Colchoneros perso a settembre, riunì la squadra e comunicò a tutti – senza alzare la voce – che “difendendo così non sarebbero andati da nessuna parte”. Il messaggio passò velocemente: da quel momento il Real non ha più perso nei novanta minuti (solo una sconfitta negli ottavi di Coppa del Re sempre contro Simeone, ma ai supplementari). Vinicius, già match winner nella finale di due anni fa, è definitivamente maturato: “Il mister mi ha cambiato come giocatore – ha detto qualche giorno fa – mi ha dato la convinzione che mi mancava. Lui mi indica dove giocare e io eseguo”. Rudiger è diventato una colonna insuperabile della difesa, tra i pali Lunin non ha fatto rimpiangere Courtois, Bellingham è esploso in tutta la sua potenza segnando 23 gol, Rodrygo ha dato il solito importante contributo. Kroos, in quella che rimarrà la sua ultima temporada, ha diretto con tanto di bacchetta un’orchestra che ha goduto degli assoli di altri protagonisti: Valverde, Lucas Vazquez, Brahim Diaz, Carvajal, Mendy, Joselu per finire al giovane turco Arda Guler.

Ancelotti e la Champions, due che si conoscono e si vogliono bene anche se non fu amore a prima vista, anzi. Galeotta fu la finale del 1984 Roma-Liverpool, con Carletto disperato in tribuna per un infortunio costretto ad assistere inerme all’harakiri giallorosso ai calci di rigore. Poi le due Coppe vinte da titolare in campo col Milan nell’89 e l’anno seguente, quelle vissute da tecnico a partire dalla rivincita personale contro la Juventus il 29 maggio 2003 a Manchester, la beffa atroce di Istanbul 2005 col Liverpool e il riscatto due anni dopo ad Atene sempre contro i Reds. E per finire il bis Real. La Decima di Lisbona il 24 maggio di 10 anni fa contro l’Atletico: un trofeo che cambiò la storia della società cancellando quella che sembrava un’ossessione e aprendo il ciclo delle tre vittorie consecutive. Infine l’ultima vinta due stagioni fa a Parigi ancora con contro il Liverpool. Nove finali, solo due perse, il record di 203 panchine (con 115 vittorie) nella manifestazione più prestigiosa del calcio. Statistiche da esibire a chi pensava che, dopo la rimonta del Liverpool all’Ataturk, fosse cominciata la sua parabola discendente. Per non dire di chi gli dava del bollito a Napoli cinque anni fa: a finire sul carrello sono stati i suoi avversari. Carletto ha trascorso la settimana con la consueta serenità, senza trasferire stress ai giocatori, studiando il Borussia Dortmund che farà di tutto per aggiungere un altro scalpo, dopo quelli di Atletico e Paris Saint-Germain, alla collezione prestigiosa di quest’anno.

Cercando di trasferire in maniera chiara quello che dovranno fare giocatori in campo, senza altre distrazioni. Regalando alla stampa, lo ha fatto nel media day di lunedì, l’anticipazione del suo menù per il giorno della finale: pasta, salmone e broccoli. A seguire, se riuscirà, un pisolino in albergo prima di affrontare l’avvicinamento al suo ennesimo grande match della carriera. La riunione tecnica, il cuore che comincia a battere e salire fino a 120 per restare così stimolato fino all’inizio della partita. Da quel momento, come lui stesso ha raccontato, “si torna al ritmo cardiaco normale”. Altro che le ansie, le angosce e le preoccupazioni, dei comuni mortali. Urla e agitazioni non fanno parte del suo bagaglio. Con la serenità dei forti cercherà di conquistare la 13esima Champions League alzata da un tecnico italiano. Per diventare Carlo V. Il monarca universale sul cui impero non tramontava mai il sole.

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