Da Hollywood a Parigi, pazzi di tennis

Da Challengers agli investimenti del mondo della moda: lo sport di Sinner sempre più cool

Quando, nel 2007, venne lanciata la prima campagna “Core values” di Louis Vuitton, Pietro Beccari era senior vice president della comunicazione del brand, e il testimonial fu Mickhail Gorbacëv. Gli altri scatti del progetto, sviluppato da Annie Leibovitz, vedevano protagonisti Catherine Deneuve seduta sulle valigie in un set cinematografico che echeggiava quello di Marlene Dietrich in “Shanghai Express”, Keith Richards, Francis Ford Coppola con la figlia Sofia, oltre alla power couple del tennis di quegli anni, André Agassi e Steffi Graf, teneramente abbracciati su un divano. Come ovvio, tutti rappresentavano dei comprimari rispetto al “padre della perestroika”, che infatti si prese ogni titolo.

Per posare sul sedile posteriore di una berlina scura, lo sguardo fisso oltre il vetro sui resti del muro di Berlino, sul sedile una classica “keepall bandoulière” dalla quale spuntava un libello dove si leggeva, in russo, “Omicidio Litvinenko, volevano lasciar andare un sospetto per 7mila dollari” (autore e casa editrice non vennero mai identificati, il New York Times suggerì che si trattasse di un’opera clandestina), l’ultimo presidente dell’Urss fece girare da Lvmh un congruo assegno alla sua fondazione Green Cross per “attività editoriali”. Se voleste cercare informazioni, non si sa quanto attendibili, sul quantum, potreste ancora trovarle su certi siti filo-russi a patto di lasciar loro i vostri dati personali. L’avvelenamento del dissidente fu uno spartiacque nella storia occidentale, declinato ormai fino al luogo comune nelle conversazioni fra amici; da allora, nessun brand del lusso ha più osato ricercare il connubio con la politica internazionale, anzi: quando, in epoca Covid, Vladimir Putin apparve a un oceanico comizio moscovita indossando un giaccone di Loro Piana che aveva regolarmente acquistato, il vice presidente Pier Luigi Loro Piana volle prendere le distanze dall’immagine con un comunicato. Sbagliando, ma comprensibilmente.

Diciassette anni dopo Gorbacëv, Beccari è amministratore delegato di Vuitton e stiamo vivendo due conflitti mondiali in nuce; la cultura woke, al tramonto negli Stati Uniti, sta alzando la testa in Europa, e il massimo livello di conflitto e di provocazione che la moda sembri in grado di tollerare è la conversazione fra Roger Federer e Rafael Nadal, ripresi sempre da Leibovitz, per la nuova campagna sui “valori di base” del brand Vuitton. I due si scambiano affettuosità seduti su un baule Vuitton in una cima delle Dolomiti, in mezzo alla neve che pare scendere copiosa ma non abbastanza da scompigliare loro il ciuffo, giusto imbiancarlo un po’, magia del set: “Roger è stato il mio più grande rivale e oggi un caro amico. Nella mia carriera ho ottenuto più di quanto avessi mai sognato; alla fine il valore più importante che lasciamo è il patrimonio in termini di umanità”, snocciola Nadal nel backstage video della campagna, e il compagno di rimando, sempre appollaiato sul baule: “È un’opportunità unica lavorare a questo progetto con Rafa. È stato molto bello essere rivali e poi, alla fine della nostra carriera, essere l’uno accanto all’altro per questa campagna”. Tutto molto ragionevole e molto rassicurante: i viaggi degli statisti che diciassette anni fa erano “esperienze che cambiano la vita sia dei singoli sia delle grandi personalità”, cito sempre Beccari, oggi sono faccende personali che si vincono “con stile, eleganza e umiltà”, oltre che con “determinazione”.

È cambiato il mondo, il modo di rappresentarlo, e perfino gli sport e i campioni scelti per farlo. Addio calcio, peraltro mai troppo frequentato dal lusso e non certo per il numero o la qualità dei tifosi, semmai per gli scandali con la sola eccezione di David Beckham che ha appena siglato un contratto da designer con Hugo Boss, basket sì purché Nba, golf ancora ancora ma, in mancanza di una vera star, meno di un tempo. Per una di quelle combinazioni di strategia e di magia che si producono una volta ogni mezzo secolo, lo sport del momento, la disciplina in cui tutti i brand che vi hanno investito si fregano le mani e quelli che no se le mangiano, è il tennis. Quando, un anno fa, Jannick Sinner apparve a Wimbledon con un borsone di Gucci sulla spalla, tanti si domandarono per iscritto e pubblicamente le ragioni della scelta. Non era una delle consuete sponsorizzazioni di marchi tecnico-sportivi. Era un cambio di passo che trasformava l’uscita dallo spogliatoio in una passerella: “Una cosa nuova”, come disse lo stesso Sinner, commentando la “collab” da consumata star. Dodici mesi dopo, nessuno si pone più la domanda: la “collab” fra Jonathan Anderson di Loewe e Luca Guadagnino per il film “Challengers” è un successo di vendita, in particolare la t shirt “I told ya” che Zendaya indossa per metà del film e che ricalca un vecchio modello indossato da John Fitzgerald Kennedy jr, ispirata a sua volta a una classica interiezione del padre (pare inevitabile: negli Stati Uniti si torna sempre a Camelot).

Due giorni fa, Gucci ha comunicato di aver stretto un accordo con Head, e con lo stesso Sinner, per la duffle bag bianca appena sfoggiata al Roland Garros, compiendo insomma un salto di qualità nel mondo dell’abbigliamento sportivo. I media si contendono le puntate di #aheroesjourney, serie narrativa del brand e di GQSports “con atleti celebri che condividono le loro esperienze personali e gli sforzi compiuti per avere successo”: il mondo social di oggi non è collettivo, è personale. La camminata dagli spogliatoi di Sinner, ma anche di Travis Kelce dei Kansas City Chiefs, del difensore del Liverpool Trent Alexander Arnold, spesso in prima fila alle sfilate, della cestista americana Caitlin Clark in Prada, sono ormai equiparati a “fashion moment” di rilevanza mondiale. Che il rapporto fra sport e moda si stia facendo più stretto, e più rilevante, è stato sancito dall’apparizione di Lewis Hamilton all’ultimo Met Gala in total look Burberry. Per una sera, che il brand abbia grossi problemi di vendite e di posizionamento, è passato perfino sotto traccia.

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