La nuova Greta, un vaso vuoto woke da riempire di contenuti

La strana parabola dell’icona ecologista, passata da “salviamo il mondo” a “schiacciamo il sionismo”. Sfumature di verde

Per dirla con il filosofo francese Alain Finkielkraut, “Malmö è ora una città libera dagli ebrei”. Una frase che suona come un colpo. Una frase da anni Trenta. Sabato scorso, Malmö faceva vedere cosa intendeva Finkielkraut quando ha detto: “Dopo il 7 ottobre, l’antisemitismo è lo stadio più alto del woke”.

Migliaia di persone hanno manifestato davanti alla Malmö Arena contro la partecipazione di Israele a Eurovision. La cantante portoghese si è dipinta le unghie secondo il disegno di una kefiah. La rappresentante greca ha sbadigliato quando ha parlato la cantante israeliana Eden Golan e quella irlandese ha pianto quando Israele è arrivata in semifinale. Ma la cosa più sorprendente è stato vedere Greta Thunberg marciare con la kefiah ed essere arrestata (l’arresto precedente era stato per aver protestato contro il più grande parco europeo di pale eoliche, niente meno).

Adesso i suoi fan si stropicciano gli occhi: ma era lei la tanto venerata Greta? Già a gennaio sua madre, Malena Ermann, ex partecipante all’Eurovision del 2009, aveva chiesto al comitato di boicottare Israele. Nel 2021, mentre le città israeliane erano finite per ore sotto i missili da Gaza e solo il sistema di difesa Iron Dome era riuscito a impedire la catastrofe, Greta ha condiviso sui social l’hashtag “#GazaUnderAttack”. Non una parola su Hamas e la Jihad islamica.


Dopo il 7 ottobre, Greta ha organizzato una manifestazione climatica in Olanda e si è messa a parlare di Gaza. Un uomo è saltato sul palco e, afferrando il microfono, ha detto con una certa rettitudine: “Sono venuto qui per una manifestazione sul clima, non per la politica”. Thunberg ha ripreso il microfono e iniziato a urlare: “Nessuna giustizia climatica sui territori occupati”. Non ci voleva uno scienziato del clima per capire che non aveva alcun senso. Ma non è solo Greta a vedere un collegamento.

Quando è iniziato il conflitto a Gaza, il gruppo di attivisti climatici Just Stop Oil, noto per le proteste paralizzanti ed eclatanti, come il lancio della zuppa sui dipinti di Botticelli agli Uffizi, ha organizzato un sit-in alla stazione Waterloo di Londra. Ad aprile, un ramo del gruppo eco-attivista Just Stop Oil che si fa chiamare “Youth Demand”, è sceso sul quartier generale londinese del Partito laburista e l’ha spruzzato con vernice rossa. I laburisti avevano “sangue sulle mani”, hanno detto. E come? Non avendo chiesto la fine immediata delle trivellazioni di combustibili fossili, il Labour aveva contribuito a “uccidere centinaia di milioni” di persone. Ma, allo stesso modo, non promettendo di mettere fine alla vendita di armi del Regno Unito a Israele, il Gabinetto Ombra del Labour stava facilitando l’“omicidio di massa” a Gaza.


E, per ribadire quanto fosse woke, Thunberg ha concluso un articolo su Gaza per il Guardian (prontamente tradotto da Repubblica sotto il titolo “la versione di Greta”) citando ritualmente i suoi pronomi: “she/her”, nel caso ve lo steste chiedendo (Greta è pur sempre una femmina).


Un’energia proteiforme sembra assorbire ogni questione progressista che incontra, per creare una sorta di causa in continua espansione e onnicomprensiva. Così il massacro di bambini, giovani, donne e anziani israeliani è chiamato “resistenza” durante le manifestazioni per il clima e la guerra di Israele è equiparata al genocidio degli ebrei europei da parte dei nazisti. Ne è nata così una frattura con l’ala tedesca del movimento di Greta.

Luisa Neubauer, l’esponente principale dei Fridays for future in Germania tanto da essere soprannominata la “Greta tedesca”, si è recata a una manifestazione pro-Israele in aperta polemica con la fondatrice svedese. La casa madre di Fridays for Future, che già il 23 gennaio 2023 scriveva: “Yallah Intifada!”. Mesi prima dell’attacco del 7 ottobre. In una foto di Greta era poi apparso un polipo peluche sullo sfondo, un animale considerato simbolo antisemita perché utilizzato negli anni Trenta in numerose caricature che denunciavano l’influenza fantasiosa delle lobby ebraiche sulla società. “Ne ero completamente all’oscuro”, si è giustificata Greta. “Persona non Greta?”, si è chiesto il Die Tageszeitung vicino ai Verdi tedeschi.


Poi la paladina ecologica ha fatto un’apparizione a sorpresa al mercato di Lipsia a una manifestazione della ong Handala, che dopo il 7 ottobre ha pubblicato sui social i parapendii usati da Hamas per attaccare il Nova Festival (364 israeliani uccisi, molti della stessa età di Greta). Thunberg ha incitato contro Israele: “Nessuno può rimanere in silenzio mentre è in corso un genocidio. Dobbiamo sempre alzare la voce e far sentire la nostra voce contro l’oppressione, contro l’imperialismo, contro la guerra, contro la discriminazione e il razzismo in tutte le forme. Stare con la Palestina significa essere umani”. Nulla su omicidi e stupri commessi da Hamas. Nulla sui 130 ostaggi a Gaza.


“Greta Thunberg si è fatta un buon nome come attivista climatica e ha affrontato una questione importante, quindi ora capisco ancora meno le sue dichiarazioni, le sue affermazioni, che in definitiva sono prive di fondamento e false, non fanno assolutamente nulla per il movimento per il clima, sta danneggiando il movimento per il clima, ma anche la sua stessa immagine”, ha detto Josef Schuster del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi. “Perché non hai detto nulla dopo l’attacco terroristico di Hamas?”, ha chiesto a Greta sull’Aftonposten svedese il Consiglio centrale ebraico di Stoccolma risponde.


Greta poi è stata colta in fragrante a gridare “crush Zionism”. Più che “mai più”, “alla prossima!”. “Abbiamo assistito a un primo cambiamento nel 2019, quando si è abbandonata la sfera della classica difesa ambientale per spostarsi verso ciò che l’ultrasinistra chiama combattimento intersezionale”, spiega Olivier Vial, direttore del Ceru, un think tank universitario responsabile del programma sul radicalismo. Il ricercatore non è sorpreso dalle recenti posizioni dell’attivista svedese. Vial spiega che Israele è visto nel movimento decoloniale “come la figura stessa del colonizzatore” e l’ebreo “come una sorta di ‘super bianco’ che dovrebbe essere decostruito”.

La nuova Greta è un vaso vuoto woke che può essere riempito con tanti contenuti, anche se per molti suoi fan la svolta è un episodio imbarazzante su cui è meglio tacere.


Durante l’Eurovision a Malmö, Greta è ripresa mentre scandisce slogan come “Palestina libera dal fiume al mare”. È sorprendente la velocità con cui certe idee circolano e si integrano nel discorso anti-occidentale. Così, oltre alla battaglia per l’ecologia, in un perpetuo movimento “intersezionale” Greta è riuscita a identificare i colpevoli: gli ex paesi colonizzatori (solo paesi occidentali), i razzisti (solo bianchi) e i sistemi patriarcali (a parte quelli della tradizione coranica).


Per Greta in Italia, solo porte girevoli: Sergio Mattarella, Mario Draghi, il Papa, Antonio Tajani, praticamente tutti i media. Senza indugi, le critiche a Greta sono state equiparate all’odio per Greta e alla negazione della crisi climatica. E persino la commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, è intervenuta per difendere Greta dagli “attacchi verbali”.


Più di venti milioni di persone seguono Greta sui social. Ha ispirato adesivi e magliette. Il Dalai Lama è coautore del suo libro sul clima e Time l’ha nominata “Persona dell’anno”. Ma non c’è più l’adolescente che “vede l’anidride carbonica” come scrisse la madre, ora c’è la profetessa che chiede la fine dell’“intero sistema capitalista” con il suo “colonialismo, imperialismo, oppressione e genocidio”.


Greta alla Royal Festival Hall di Londra ha lanciato il libro “The Climate Book”. Inframezzato dalle consuete geremiadi sulla necessità di esercitare pressioni sui leader politici, il messaggio di Greta è stato più politico di quanto non fosse in passato. Non ci sarà nessun “ritorno alla normalità”, ha detto. “Normale” è il “sistema” che ci ha dato la crisi climatica, un sistema di “colonialismo, imperialismo, genocidio”, di “estrazionismo razzista e oppressivo”. Si deve rovesciare così “l’intero sistema capitalista”, ha detto Greta.

Non importa che sia Israele che fa arrivare l’acqua a Gaza. Che Israele sia leader mondiale dell’utilizzo delle acque reflue. Che entro il 2030 un terzo di tutta l’energia israeliana arriverà da fonti rinnovabili. Che Israele è l’unico paese al mondo che oggi ha più alberi di un secolo fa. Tutto questo non sembra importare molto agli attivisti verdi.


“La grande eresia cristiana laica era il marxismo”, scrive Pascal Bruckner nel suo nuovo libro per Grasset sulla vittime, “Je souffre, donc je suis”. “Per Marx, la classe operaia è la classe messianica che redimerà l’umanità e il cui sacrificio consentirà l’accesso a una società senza classi. A differenza del cristianesimo, per il woke non c’è né speranza né orizzonte temporale. Il woke è un nichilismo di facile disperazione. Tutta una parte della gioventù resta senza orizzonte. Greta non ha nulla da offrire al mondo tranne le sue lacrime e la sua kefiah pro-Hamas”.


“La lotta contro il riscaldamento globale non ha nulla a che fare con gli eventi israeliani” scrive sull’Express Antoine Buéno. “Questa mescolanza di generi purtroppo non è un epifenomeno. Greta non è l’unica a indulgere in questo. Al contrario, è sintomatico della deriva ambientalista, lo troviamo oggi ovunque nel discorso dell’ambientalismo dominante e in tutte le bocche dei suoi più mediatici apostoli. Secondo loro, per lottare contro il degrado del pianeta, dobbiamo lottare contro le disuguaglianze sociali, contro il patriarcato, contro il neocolonialismo, contro il razzismo, contro il capitalismo… In una parola, l’ecologismo vuole fare dell’ecologia un movimento intersezionale, una macchina travolgente che riunisce tutte le lotte sotto la sua bandiera”.

E il problema va oltre Greta. Il rapper Médine è stato invitato alle giornate estive dei Verdi francesi. “Abbiamo molte battaglie in comune”, ha dichiarato Marine Tondelier, segretaria dei Verdi, nell’accogliere il cantore islamista delle banlieue. “Mi basta Allah” canta Médine. A Leeds, nel nord dell’Inghilterra, il membro del Partito dei Verdi Ali Mothin ha appena celebrato il suo ingresso nel consiglio comunale con un rauco “Allahu Akbar!”. Il Tages-Anzeiger svizzero ha pubblicato un editoriale dal titolo “Greta e i suoi amici del Califfato”.


Dopo aver lasciato Malmö, immortalata di fronte a uno striscione con scritto “Welcome to genocide song contest”, Greta è andata fra gli studenti accampati per Gaza nelle principali città universitarie svedesi come Lund, Goteborg e Stoccolma.


Inclusivo, progressista, antirazzista del nuovo corso, forte nelle metropoli super multiculti come Malmö, imbevuto dell’ideologia sciropposa della “diversità” e promotore del politically correct che paralizza i riflessi vitali dell’occidente, l’ecologismo apocalittico è diventato il terreno ideale per il debutto nella società europea dell’islam radicale.


Intanto cadeva la scultura in bronzo di Greta installata all’ingresso della Winchester University, una delle più woke d’Inghilterra dove anche l’Otello di Shakespeare è “problematico”, e che doveva servire come “ispirazione per tutti gli studenti”. Li aspettava da tre anni ogni giorno all’ingresso dell’università. Ma una scelta che anche l’organizzazione studentesca aveva condannato, dicendosi “mortificata” per tanta “vanità” da parte dell’amministrazione. A gennaio, l’università ha così rimosso la statua per metterla in un angolo poco visibile dell’università, dietro a una porta, come si fa con un vecchio cartellone pubblicitario in disuso.

Che strana fine per l’oggettino di culto con le treccine delle élite occidentali. E mentre Greta stira la kefiah, Carola Rackete ora si batte per un’agricoltura ecosocialista nella campagna elettorale europea.


Anche i Talebani, dopo aver ripreso Kabul nel ferragosto 2021, hanno detto di voler aiutare a combattere il cambiamento climatico. Cosa mai potrebbe andare storto?

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

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