Quando Borsellino si trovò (con Mori) a difendersi dai pm inaffidabili

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Nella prima metà degli anni 90 stavo conducendo a Milano le indagini sulle stragi eversive di destra tra le quali, in particolare, quelle di piazza Fontana e di Brescia. Il Ros dei Carabinieri, comandato dall’allora colonnello Mario Mori, ha dato un contributo decisivo alla verità e alla conoscenza di quei fatti. Spesso il col. Mori è venuto nel mio ufficio per discutere con me degli sviluppi del nostro comune lavoro. Non sapevo e non mi ero accorto che negli stessi anni stesse tramando per agevolare, lo ipotizzano alcuni pubblici ministeri, le stragi di mafia. Alcuni magistrati sono forse più sagaci di me. Non si finisce mai di imparare.

Guido Salvini, ex magistrato

La sua lettera mi fa venire in mente un episodio del passato interessante. Ricordo che poco prima di essere ucciso, Borsellino partecipò a un incontro importante. Era il 25 giugno 1992. Borsellino convocò in segreto nella caserma di Palermo, negli uffici dei Ros, Mario Mori e il capitano De Donno. Borsellino confessò ai due che riteneva fondamentale riprendere la famosa inchiesta “Mafia e appalti”. Perché – sosteneva Borsellino – quello “era uno strumento per individuare gli interessi profondi di Cosa nostra e gli ambienti esterni con cui essa si relazionava”. Le ragioni per cui l’incontro nella caserma dei Carabinieri di Palermo fu mantenuto segreto vennero ammesse dallo stesso Borsellino. Il pm, ricorderà anni dopo Mori, “non voleva che qualche suo collega potesse sapere dell’incontro. E a seguito di quell’incontro, il dottor Borsellino ci raccomandò la massima riservatezza sui suoi contenuti, in particolare nei confronti dei colleghi della procura della Repubblica di Palermo”. Borsellino era preoccupato per una serie di fatti accaduti in quei giorni. Il 13 giugno 1992 uno dei mafiosi arrestati dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta “Mafia e appalti” – il geometra Giuseppe Li Pera – si mise a disposizione degli inquirenti dicendo di essere disposto a svelare “gli illeciti meccanismi di manipolazione dei pubblici appalti”, ma i magistrati di Palermo risposero dicendo di non essere interessati. “Sì, è vero: i fatti di quei tempi – ricorda Mori – mi portarono a ritenere che anche una parte di quella magistratura temesse la prosecuzione dell’indagine che stavamo conducendo”. Mori, nella sua storia, ha sempre aiutato i magistrati coraggiosi a difendersi dalle procure inaffidabili. La storia, a volte, si ripete, anche se spesso in farsa.

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