Israele non gioisce e non si preoccupa, la morte di Raisi non cambia nulla

L’incidente aereo che ha ucciso il presidente iraniano e il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian per Gerusalemme è uno schianto inutile. Lo spassoso pilota-agente segreto del Mossad Eli Kopter

Nel rapporto tra Israele e la Repubblica islamica nulla cambia, anche se il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi è morto assieme a tutti gli altri passeggeri che volavano a bordo dell’elicottero Bell 212, vecchio rimasuglio di fabbricazione americana carbonizzato nel tentativo di effettuare un atterraggio di emergenza tra le montagne nebbiose del Varzaqan, nella regione iraniana dell’Azerbaigian orientale. Raisi viaggiava con il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, l’imam di Tabriz Mohammad Ali al Hashem, il governatore della regione Malek Rahmati, due piloti e due guardie del corpo. Sono morti tutti e poco cambia per il futuro delle relazioni tra Iran e Israele. Dopo l’annuncio dell’incidente, alcune vignette satiriche avevano iniziato a tratteggiare l’esistenza a bordo dell’elicottero di un pilota-agente segreto del Mossad molto ardimentoso chiamato Eli Kopter.


Il nome è assurdo e spassoso, ma qualcuno ha voluto vederci della verità e in poco tempo, il canale televisivo israeliano in lingua francese i24 e alcuni canali telegram anti israeliani iniziavano a riportare i dettagli del misterioso pilota pronto alla missione suicida, tramandando l’idea che Israele dovesse avere avuto un ruolo nella morte di Raisi e degli altri. I24 aveva preso per buona la satira finendo a sua volta oggetto di sberleffi, mentre canali vicini a Hamas e a Hezbollah forse avevano pensato in modo furbesco che fingere di credere all’esistenza di Eli Kopter fosse il modo più rapido per accusare lo stato ebraico. Le teorie del complotto possono nascere anche da una vignetta satirica e pure se il regime iraniano dovesse decidere di addossare una responsabilità remota a Israele, lo farebbe con poca convinzione, soltanto per tenere alta l’attenzione e l’odio contro lo stato ebraico – come fece per esempio a gennaio, dopo l’attentato a Kerman durante le commemorazioni per la morte del generale Qassem Suleimani, nonostante le rivendicazioni dello Stato islamico del Khorasan, l’allora ex vicepresidente Mohammad Mokhber ci tenne ad accusare “le mani del regime sionista”. Mokhber adesso è presidente, ha preso il posto di Raisi e tanto basta per capire che nelle intenzioni iraniane contro Israele è come se l’incidente aereo non ci fosse mai stato. Poco importa se i vertici del governo cambiano, poco importa se al posto di Amir-Abdollahian è stato nominato Ali Bagheri Kani, capo negoziatore per il programma nucleare dell’Iran. Israele guarda avanti, i funzionari iraniani sono la proiezione della volontà della Guida suprema e i funzionari passati come quelli futuri continueranno a rappresentare gli interessi e le idee di Ali Khamenei. Le morti di Raisi e di Amir-Abdollahian non cambiano la politica estera di Teheran e Israele non si è mai interessato a loro.

Il ministro degli Esteri non era un tessitore e un organizzatore della guerra contro lo stato ebraico nonostante fosse molto vicino al leader di Hezbollah e raccontasse di lunghe chiacchierate a Beirut che si protraevano fino alle quattro del mattino: parlava bene l’arabo e male l’inglese, tanto da attirarsi le critiche e le beffe dell’opposizione – ha l’inglese di un venditore ambulante, dicevano. Come Raisi, Amir-Abdollahian era un soldato fedele, non un uomo scelto per cambiare, indirizzare, rafforzare le strategie del paese in politica estera. Erano entrambi l’emanazione delle idee di Khamenei, che contro Israele vuole una guerra lenta, combattuta dai gruppi armati in giro per il medio oriente, ne rappresentavano il modo di vedere il mondo, senza neppure avere troppo potere a disposizione se non quello di esaudire ed eseguire i desideri della Guida suprema. Ognuno dei gruppi armati ha voluto esprimere la propria vicinanza alla Repubblica islamica, Hamas ha fatto le condoglianze a Khamenei per l’“immensa perdita”. Hezbollah ha reso “onore al protettore dei movimenti di resistenza”, e ha ringraziato Raisi e Amir Abdollahian per lo sforzo politico e diplomatico intenso “per fermare l’aggressione sionista”, gli houthi si sono spinti oltre fino a parlare di “presunto martirio”. Sono loro il braccio armato dall’Iran contro Israele, non hanno mai preso ordini dal presidente e dal ministro degli Esteri, la loro battaglia rimarrà la stessa, senza cambiamenti.

La Repubblica islamica non è un nemico cambiato adesso che il presidente e il ministro degli Esteri sono morti, il loro ruolo è limitato, non sono strateghi. Anche se le teorie del complotto hanno voluto dare adito all’esistenza del potente pilota Eli Kopter, agente del Mossad infiltrato nell’elicottero presidenziale, dal punto di vista di Israele quanto successo sulle montagne del Varzaqan è stato un incidente inutile.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.

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