I riformisti non devono pentirsi di ciò che sono stati. Ma nel Pd non possono farlo più. Ci scrive Marattin

Il deputato di Italia Viva risponde all’articolo di Tommaso Nannicini. Ecco i motivi per cui è meglio lasciare perdere i riformisti del Partito Democratico, impegnati solo a trovare un segretario che li tuteli maggiormente

Al direttore – Caro Tommaso Nannicini, amico mio, era un po’ che non ti leggevo, e facendolo ieri sulle colonne di questo giornale ho ritrovato quella passione, quella lucidità di analisi, quell’equilibrio e quella originalità intellettuale che apprezzo da un quarto di secolo. Quando, poco più che adolescenti, ci abbeveravamo insieme alla fonte del riformismo liberale di Libertà Eguale di Enrico Morando, assieme ad Antonio (Funiciello), Marco (Leonardi) e tanti altri che poi hanno fatto la loro parte in questa follia chiamata politica italiana. E nel corso degli anni seguenti, soprattutto quelli che trascorremmo insieme a Palazzo Chigi come consiglieri economici del governo Renzi, condividendo quello straordinario impeto tumultuoso che ci illuse di essere vicini a quel cambiamento del paese che da sempre rappresentava la cifra della nostra comune passione politica. Ma su quello che hai scritto ieri, amico mio, non concordiamo più. Per niente. E, se posso permettermi la confidenza che 25 anni di amicizia mi consentono, lascia perdere anche tu. Capisco la tenacia, capisco la passione. Capisco la difficoltà, forse inconscia, a prendere atto della fine di una storia. Ma nel Pd di oggi non vi è, né vi potrà essere, nessuno spazio per un approccio riformista che voglia “cambiare lo stato presente delle cose” (cit) prendendo totalmente atto del cambiamento avvenuto nel mondo con la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica.

Potrai vincere il congresso, come facemmo nel 2013 e nel 2017 (o come fece Veltroni nel 2007). Ma sai benissimo che alla tua prima intervista per difendere il Jobs Act, ne seguirebbero quattro della “minoranza” – più quella di Landini, ammesso che per allora non sia già nel Pd – in cui ricordano che non bisogna tagliare le radici del profondo legame che unisce sindacato e partito. Al tuo primo intervento sui benefici di liberalizzazione e concorrenza, seguirebbero sei interventi di dirigenti che ammoniscono contro i diktat del liberismo sfrenato. Al tuo primo articolo sull’importanza di valutare insegnanti, magistrati e dipendenti pubblici seguirebbero otto articoli di “intellettuali organici” che ricorderebbero come il nostro modello sociale è diverso da quello statunitense, e abbiamo bisogno di solidarietà e non di competizione. E la stessa cosa avverrebbe sul fisco, sulle politiche di competitività, sulla politica estera, sui servizi pubblici locali. Perché quel partito, chiunque vinca la battaglia interna congressuale, non è pronto ad abbandonare i totem ideologici del secolo scorso. E, sai che ti dico, non è neanche giusto che lo faccia. Perché su quei totem si fonda un’offerta politica di stampo tradizionalmente socialista (e, nel mondo globalizzato, innervato di ambientalismo ideologico e populismo) che esiste in tutto il mondo e che è giusto e sano che esista anche in Italia. Solo, non ha nulla a che fare con te e con quanti ancora si illudono che sia possibile far convincere in uno stesso partito quel tipo di approccio politico-culturale con uno di stampo liberale e riformatore. Pensavamo fosse possibile, 15 anni fa. Ma ci sbagliavamo. Sarebbe possibile nel Labour, o nel partito democratico americano. Ma quelli sono partiti che esistono da duecento anni. Da noi un grande partito plurale e’ impossibile, perché chi perde la battaglia interna, dal minuto dopo ha solo un obiettivo: distruggere e delegittimare chi lo ha sconfitto alla guida del partito. Perché a essere importante, per loro, è il partito. Non il paese.

Ti ho sempre guardato come un modello Tommy, e ai modelli non si danno consigli. Stavolta però faccio un’eccezione: lascia perdere, dammi retta. E non farti ammaliare da quei tanti che, fin da ieri, ti scriveranno in privato – qualcuno persino in pubblico – dandoti ragione. Neanche a loro interessa troppo del paese, vogliono solo un segretario che li tuteli maggiormente quando si tratterà di fare le liste per le prossime elezioni. Quella strada è chiusa per sempre, e lascia che il Pd cristallizzi una coerente offerta politica socialista ed ecologista, stretta stretta nell’abbraccio con gli amati M5S. Tu vieni via da lì. E vieni a darci una mano. Si lo so cosa stai pensando. Non è che qui siamo messi proprio una favola. Ma qualcosa di nuovo da queste parti nascerà, te lo prometto. Come diceva De Gregori? “Questa notte passerà. O la faremo passare”.

Luigi Marattin è deputato di Italia Viva

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