Gentiloni fa piazza pulita dei soldi del Pnrr, il mito fondativo del contismo

Nell’ultimo libro di Paolo Valentino, “Nelle vene di Bruxelles”, il commissario europeo all’Economia fa cadere quell’idea bislacca secondo la quale un partito di vaffanculotti raccattati per strada era stato trasformato da Giuseppe Conte in una forza politica autorevole in Europa

Siamo ossessionati da due drammatiche righe che abbiamo letto ieri sul Corriere della Sera. Queste, all’incirca: Giuseppe Conte non ha trattato per i soldi del Pnrr, la cifra di 194 miliardi di euro è stata decisa da un algoritmo predisposto da due funzionari. Olandesi, per giunta. Lo ha raccontato Paolo Gentiloni a Paolo Valentino nel libro, appena uscito, che s’intitola “Nelle vene di Bruxelles” (Rizzoli). Insomma se fino a ieri pensavamo che va bene, Conte ha gettato dalla finestra 150 miliardi di euro in Suberbonus, ma ne aveva portati 194 col Pnrr, quindi tutto sommato restava in attivo di 44 miliardi, ora dobbiamo ricrederci. Il ragazzo ci è costato 150 miliardi, in aumento. Secchi. Cose che capitano. Ciò che ci sorprende di più, invece, è che tutto questo lo abbia raccontato Gentiloni, il quale, com’è noto, è del Pd, un partito di costumi non diciamo facili, ma diciamo arrendevoli: da mesi il Pd riceve schiaffi da Conte, e porge l’altra guancia. Questo è il primo ceffone restituito, ci pare.

In un lampo Gentiloni ha cancellato il “mito fondativo” del contismo, niente meno. Ovvero ha fatto piazza pulita una volta per tutte di quell’idea bislacca secondo la quale un partito di vaffanculotti raccattati per strada a casaccio da Casaleggio e Grillo era stato trasformato dalla tragedia del Covid e dalla bravura di Conte in una forza di governo autorevole e ascoltata persino in Europa. Capace di strappare 194 miliardi a quei tirchi. “Ci parlo io con la Merkel”, vi ricordate? Ma de che. A stabilire la cifra sono stati l’algoritmo e i funzionari della commissione europea (olandesi, per giunta). Almeno così dice Gentiloni. Ecco. Senza il Pnnr, di quegli anni di Conte resta all’incirca questo: “L’humus per avere una stella polare”, “l’interlocuzione”, “il tono dialogico”, “la caducazione” nonché “la soggettivizzazione del conflitto”. Tutta una moria delle vacche del linguaggio politico, con Di Maio al balcone per abolire la povertà.

E sebbene Conte oggi ci direbbe di non esagerare con le critiche – per l’esattezza direbbe: “La prego non indulgi” perché ai tempi ci si “rimboccarono le mani” – noi gli risponderemmo di non aver “pretermesso” nulla in questo articolo. “Salvo intese”, ovviamente. Punto, due punti, punto e virgola (altrimenti ci prendono per provinciali).

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori “Fummo giovani soltanto allora”, la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.

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