Chico Forti e i suoi fratelli: il ritorno del detenuto ormai è un format dell’eterna commedia all’italiana

Da Buscetta a Forti, dai Marò a Cesare Battisti: il ritorno del detenuto (o detenuta) esteri sono una sottocategoria del “carcerato” (da intendersi come gag di Alberto Sordi), sottogenere “comedy” o “dramedy” che cambia con le epoche e i costumi

Ma sarà meglio “Chico in Italia”, come urlava il Pirellone illuminato, o “Benvenuto assassino”, come titolava Il Fatto? Il ritorno in pompa magna dell’ergastolano balneare Chico Forti, accolto dalla premier Meloni all’aeroporto militare di Pratica di Mare, scuote le coscienze e mette davanti a quello che ormai pare un format, una variante “airport 2024”, della eterna commedia all’Italiana. Il ritorno del Detenuto (o detenuta) esteri sono una sottocategoria del “carcerato” (da intendersi come gag di Alberto Sordi), sottogenere “comedy” o “dramedy” che cambia con le epoche e i costumi.

Intanto, vediamo un incremento dei voli di Stato. Motivi di sicurezza, si dice, e figuriamoci, siamo uomini di mondo, e però quarant’anni fa al suo rientro Tommaso Buscetta, che pure era un fior di delinquente, scendeva a Fiumicino da un glorioso 747 di linea Alitalia (con plaid poi “igonigo” a nascondere le manette). Ormai il volo di linea invece gli ergastolani esteri non lo accettano più. Perchè loro valgono. Anche i due Marò ebbero volo di Stato, con Falcon a Ciampino, nel 2016, e così Cesare Battisti nel ‘19 e altri. E alla fine si può dire che il 31esimo stormo, l’armata di cielo di palazzo Chigi di stanza nel piccolo aeroporto sull’Appia, viene molto più usata dai carcerati che dai ministri. Altro che casta. Altro che Air Force Renzi. Qualcuno ha mai tracciato la carbon print del detenuto estero collettivo? È certamente superiore a quella di Taylor Swift.

Ai bei tempi, sul Boeing biancoverde Sordi ambientava il suo “Io e Caterina” e quegli altri film con le sigarette e il uischino sponsor, tipo “Un tassinaro a New York”, quei film degli italiani all’estero che hanno sempre quella patina malinconica e surreale che segnala un clash culturale. E anche in queste storie di rientri penitenziari ogni fotogramma desta malinconia cringe. Appunto il Pirellone illuminato a giorno con le lettere “Chico in Italia” e quella photo opportunity a Ciampino con Meloni a mani giunte come se aspettasse il Dalai Lama (ma Chico, di tre quarti col testone pelato, potrebbe esserlo, il Lama, o anche l’assistente della Santa nella “Grande bellezza”). Si capirebbe se ad attenderlo a Ciampino fosse andata piuttosto Tinny Andreatta di Netflix con un contratto pronto in mano (la storia di Chico, oggettivamente, batte quella di qualunque detenuto che sia mai atterrato con un Falcon: già vincitore di TeleMike, specializzato in teoria e tecnica del surf, coi soldi della vincita, invece che aprire un agriturismo, emigra in America dove vuol far altri soldi, si installa a Miami, sfiora il delitto Versace, incappa nell’omicidio a Ibiza). Insomma facile immaginare anche spinoff e sottotrame: potrebbero fargli un contrattone tipo Ryan Murphy, per varie produzioni, anche perché quelle italiane ormai tra Guglielmo Marconi ed Enzo Ferrari sono tragicamente a corto di eroi vagamente non di sinistra.

Ci si chiede piuttosto come mai Meloni ci abbia messo come si dice la faccia. Avrà algoritmi segreti? Punta a nuovi tormentoni dopo “E allora i Marò?” (Ma “E allora Chico?” funzionerà lo stesso, oltre a richiamare nei meno giovani la serie fake sudamericana “Paquito e Chiquito” della “Tv delle Ragazze”, sulla facinorosa Rai3?). E ancora, ci sono molti voti in ballo? Ma quali? Surfisti di destra? Italiani che commettono reati in Florida? Giovanilisti vanziniani? Forse le fa risuonare antiche ferite col papà detenuto laggiù in Ispagna? Misteri.

Anche i Marò arrivarono col Falcon, appunto, ma a loro favore c’è da dire che erano condannati speciali, non ergastolani ma militari, e poi erano due! (ma giunsero separati). Non andò nessun premier a riceverli, il premier a Ciampino è una novità assoluta, ha rilevato ieri Walter Verini, politico di lungo corso del Pd, che potrebbe essere preso come Head of research per la serie Netflix sui carcerati italiani. Verini ha rimarcato come Meloni sia il primo premier in assoluto ad accogliere un ergastolano o anche carcerato generico in aeroporto (al massimo i premier accolgono autorità o salme). Il ministro della Giustizia Diliberto andò nel ‘99 a ricevere a Ciampino la ex terrorista de sinistra Silvia Baraldini, ancorché non condannata per omicidio ma per organizzazione sovversiva. E però, ripescando vecchi articoli, ecco un pezzo del Corriere del 1997 che rimembra un vecchio gentiluomo comunista come Armando Cossutta in visita alla carcerata nel Connecticut (prima di riceverla a Ciampino con rose rosse): “’Non vuole, non sopporta la pietà’, racconta Cossutta. La descrive: ‘Ha ormai tutti i capelli bianchi, e gli occhi verdissimi che non ti abbandonano un istante. Insegna alle sue compagne, è un intellettuale, studia per prendere la sua seconda laurea, legge i giornali italiani. Ha voluto sapere tutto di noi, del governo di centrosinistra”. Giustamente, in carcere in Connecticut una che fa se non interrogarsi sulle sorti del centrosinistra (italiano)? Ma qui, differenze; il detenuto di sinistra (equosolidale, antifascista in gita, operatore onlus, magari ex Br) e quello de destra (i Marò, l’imprenditore, il cane sciolto, il militare)… I primi ovviamente pensosi e ideologici, ma invece Chico nei suoi giorni di carcere americano, si sarà scervellato pure lui sulle dinamiche tra Lega e FdI?O punterà a nuove startup?

E le due Simone? E i due Marò? Che avranno pensato? Non pensa mica tanto il carcerato bamboccione, nuovo sottogenere “teen” nella commedia aeroportuale in questione. Siamo pazzi di questo Matteo Falcinelli, il 25enne carcerato sempre a Miami, in una specie di staffetta con Forti (e non vorremmo essere nei panni del console italiano a Miami). Qui il giovane oltre a infastidire il poliziotto che l’ha arrestato, non stando mai zitto, toccandogli il distintivo – non ha mai visto nei film come ci si comporta coi poliziotti laggiù? – si vede soprattutto nelle registrazioni in carcere implorare sconvolto il suo secondino: “vi rendete conto, state tenendo prigioniero un ragazzo di 25 anni!”. E naturalmente speriamo che abusi non ve ne siano stati, però viene fuori tutto il gap insanabile tra le due culture, il guardiano americano infatti non capisce, gli chiede di ripetere, perché in America un venticinquenne è un uomo fatto, vive da solo, ha finito il college e l’università se li ha fatti, mentre qui da noi è un minore, un minorato, poco più che un bebé, è un feto, è tutelato dalla legge 194. Poi c’è la mamma. La mamma sta lottando per lui. Come la mamma novantaseienne di Forti che presto rivedrà il suo figlioletto. Il ganzo papà di Ilaria Salis invece è arrabbiato col governo.

Perché alla fine son bravi ragazzi i nostri detenuti esteri. Come ha scritto Flavia Perina sulla Stampa, l’Italia che riaccoglie con tutti gli onori i suoi carcerati è “pre evangelica e pre politica”. Così Meloni “law and order” dimentica per un attimo la dimensione “yo soy Giorgia” e nella nuova Italia che butta via la chiave per chi si fa la cannetta si trasforma in garantista modello “Miami Vice”, però alla Garbatella: che sarà mai, l’ergastolano surfista, ahò. Però meloni mica è scema. Capisce benissimo che qui pattiniamo su sentimenti atavici. L’estero fa paura, l’estero è vasto e ostile. E lei, mamma Italia, va a riprendersi il suo ragazzone. Sarà un caso ma sempre l’apprensione in questi casi ciampiniani è maggiore per “i nostri ragazzi”, per ragazzi anche robusti, e anzianotti. Quando il detenuto è femmina invece ci disinteressiamo o alziamo il ciglio: se la sono andata a cercare. Una brava femmina italiana all’estero non ci va. Ma adesso mamma Italia reclama il corpaccione del figlio suo. Che è deperito. Che gli avranno dato da magnà? Niente carbonara? Mostarda, ammazza che zozzeria. Il carcere estero è sempre visto con eccessivo terrore, come la cucina. Qualcuno ha timidamente fatto notare che forse son meglio le carceri di Budapest che le nostre, dove ci son più suicidi. Però nessuno chiede mai estradizioni dall’Ucciardone o da Opera. Ma niente: la gita a Ciampino è un rito che non ha niente a che vedere con la razionalità, è appunto una questione atavica, vi faccio vedere come si estrada un italiano. E la gita a Ciampino è la fase finale dell’estradato italiano, che passa attraverso tre stadi precedenti 1) La giustizia faccia il suo corso; 2) lasciamo lavorare la diplomazia 3) monumento illuminato (anche i monumenti differiscono da caso a caso. Quando er glorioso detenuto è de sinistra, generalmente si illumina il Campidoglio. Se di destra, il Pirellone).

C’è infine la variante rossobruna del dramedy aeroportuale: si ebbe anche qui un primato quando l’allora vicepremier Salvini e l’allora ministro della Giustizia Bonafé aka Foffo Dj accolsero il terrorista Cesare Battisti travestiti da poliziotti cattivi (Salvini con la giacca della polizia di Stato e Bonafede con quella della Penitenziaria) e impacchettarono con musiche di sottofondo diffondendola sui social la pregiata pellicola. Stessa regia e fotografia del celebre video con Di Maio e Toninelli che mostravano agli italiani i lussi horror del l’Air Force Renzi. Oggi vetusto e sorpassato, neanche l’ultimo degli ergastolani, è chiaro, si degnerebbe di metterci piede.

Di più su questi argomenti:

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

Leave a comment

Your email address will not be published.