La riscoperta della storia della Democrazia Cristiana, vittima dell’oblio e degli stereotipi

Caro direttore, non c’è difesa che regga di fronte alle fondate accuse impietosamente lanciate da Pierluigi Battista (Il Foglio, 27 aprile) contro i democristiani smemorati o, peggio, passivamente acquiescenti di fronte alla lenta cancellazione della memoria del loro partito. La romana damnatio memoriae aveva un che di tragico.  Neppure questo sembra toccare alla Dc, solo l’indifferente scivolamento nell’oblio. A resistere sembra che sia soltanto, lo ha ben sottolineato Battista, l’utilizzo dell’aggettivo democristiano come sinonimo di biotipo connotato da caratteri non proprio esaltanti.

Non c’è passaggio della paginata di Battista che non dica crude verità. Il fatto è che quando le responsabilità si diluiscono nelle moltitudini se ne perde anche il senso.

I cinquant’anni di vita della Dc non possono essere ridotti alle “vulgate” artatamente messe in circolazione da avversari e da ben noti canali d’informazione, tanto da diventare luoghi comuni consolidati, impenetrabili finanche a riconoscimenti che, se pur raramente, non sono mancati da avversari leali. Penso, per esempio, a un comunista come Antonello Trombadori che, rispetto a una delle più consolidate vulgate antidemocristiane – quella secondo cui la Dc sarebbe stata il partito del “doppio stato”, il partito cioè della “doppia lealtà”, alla Nato e allo stato costituzionale di diritto, che nei momenti difficili avrebbe puntualmente privilegiato la prima – ha scritto: “Non v’è un solo episodio di attacco alla legalità costituzionale nel quale la Dc non si sia trovata dalla parte giusta… Perdere di vista questo dato di fatto… significa depistare tutta l’analisi del quarantennio bloccato, con un Pci che molto può continuare a vantare, meno che il fatto di non aver costituito per i suoi collegamenti internazionali e per la sua dottrina, un non escludibile pericolo liberticida” (A. Trombadori, La storia parla chiaro. Era la Dc e non il Pci a stare dalla parte giusta, in Corriere della Sera, 22 novembre 1990).

Altra, rispetto alle rappresentazioni della sua storia consolidatesi presso le nuove generazioni, è stata quindi la realtà. Generoso è stato il contributo di suoi esponenti alla lotta di Resistenza. La Dc è stata poi protagonista nella rifondazione dello stato, nella ricostruzione materiale del paese, nel suo riaccreditamento internazionale, grazie a coraggiose scelte di politica estera, operate tra duri contrasti, conseguenti alla sopraggiunta divisione del mondo in blocchi contrapposti.

Al formarsi di giudizi e pregiudizi antidemocristiani hanno molto contribuito gli eventi degli ultimi anni della sua vita. Superfluo è sottolineare il peso avuto sulla fine della Dc e dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica dallo sconvolgimento planetario conseguente al crollo del comunismo sovietico.

A ciò, nell’Italia dei primi anni Novanta, si aggiunse la maturazione della crisi della Repubblica dei partiti, la crisi cioè del modello Cln, e quella dei partiti di massa, un tempo forti di vigorose ideologie, di potenti apparati e perciò dominatori assoluti della scena politica e l’irrompere, infine, di quel fenomeno, ancora tutto da capire, che va sotto il nome di Tangentopoli.

Ma, specificamente, nella fine della Dc ha avuto un peso l’essere stata “inchiodata” (non casualmente hanno usato questo participio sia Sturzo che Moro), ininterrottamente e per così lungo tempo nella responsabilità di governo, per libera scelta degli italiani, consapevoli dei rischi incombenti sul sistema democratico. Fin sul nascere l’Italia repubblicana è stata infatti una democrazia zoppa, per l’assenza di un’alternativa democraticamente affidabile, dato di fatto che, nella sua valenza e nelle sue cause, è stato generalmente sottaciuto e finanche espressamente negato da non piccola parte della storiografia.

Una così lunga consuetudine col “potere” ha inevitabilmente contribuito all’appannamento dello slancio ideale e programmatico delle origini, divenendo anche motivo di progressivo freno all’impegno riformista e di demotivazione del suo stesso personale politico, con la conseguenza di una progressiva disaffezione del suo elettorato tradizionale. 

Ma in un tale coacervo di cause ed eventi sembra essersi smarrita la consapevolezza di quanto l’Italia di oggi sia tuttora debitrice alle grandi scelte rivoluzionarie operate dalla Dc e dai suoi alleati, soprattutto tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, particolarmente sotto la guida di De Gasperi, vincendo la dichiarata avversione del Partito comunista. Risalgono infatti a quella stagione la riforma agraria e la Cassa del Mezzogiorno, che consentirono a un Sud arretrato (e non solo a esso) di balzare dal Medioevo alla modernità, il piano casa e le fondamentali scelte atlantista ed europeista. Successivamente vennero  la riforma della scuola dell’obbligo e quella sanitaria.

Scrivendo il suo atto d’accusa, che è anche un implicito appello, più che al risveglio dell’orgoglio democristiano,  al dovere di contribuire a interrompere il flusso di distorsioni accumulatesi sulla storia del partito, Pierluigi Battista non poteva sapere, che, senza recriminare a destra e  a manca, un manipolo di volenterosi proprio  per arginare la deriva da lui descritta, ha costituito un Comitato che, affiancato da un prestigioso Consiglio scientifico, ha elaborato un programma triennale di attività per tentare di ricostruire la storia “vera” dei cinquant’anni di vita della Dc, in occasione degli ottant’anni dalla sua nascita.

In una recentissima, puntuale opera sulla sua storia, tra le non molte disancorate da vieti pregiudizi, (autori Formigoni, Pombeni e Vecchio – Storia della Democrazia cristiana, il Mulino), è stato scritto: “La Democrazia Cristiana non è un fenomeno molto studiato.  La scarsa attenzione intellettuale nei suoi confronti è uno dei paradossi più difficili da spiegare della cultura storiografica e politologica contemporanea”.

L’iniziativa assunta dal ricordato Comitato, ambisce appunto a offrire contributi per superare tale paradosso. Niente di nostalgico e di agiografico quindi, ma solo il tentativo di ricostruire, con rigore storiografico, quei cinquant’anni di storia italiana nei quali la Democrazia Cristiana ha avuto la responsabilità della guida del paese.

In un tempo che sembra solo ripiegato sul presente e proteso verso il futuro, provare a fare storia su di una non breve stagione, passata, ma fondamentale nella giovane vita del nostro stato repubblicano, vuole essere, particolarmente rispetto alle nuove generazioni, un’occasione di bilanciamento storiografico e, in definitiva, un contributo al rinsaldamento della coscienza nazionale.

Il programma approntato dal Comitato è stato sottoposto alla struttura presso la Presidenza del Consiglio dei ministri competente in tema di anniversari nazionali. Dopo lunga istruttoria e dopo aver acquisito il parere favorevole di una Consulta scientifica, la struttura, con nostra viva soddisfazione, ha approvato il programma (consultabile sul sito www.comitatodc80.org). Ora ci attende l’arduo compito della sua concreta attuazione. L’evento pubblico di apertura ufficiale è previsto per il prossimo 20 giugno alle ore 17 nel Teatro Quirino di Roma. Sarà una prima riflessione corale, coordinata da Paolo Mieli e affidata a Francesco Bonini, Ernesto Galli della Loggia, Agostino Giovagnoli, Alberto Melloni, Aldo Schiavone.   

C’è da augurarsi che, da tutti gli uomini di buona volontà, si guardi alle iniziative che si snoderanno nel triennio, senza spirito di parte, ma, giova ribadirlo, come occasione di approfondimento di quel segmento della nostra storia nel corso del quale l’Italia, vincendo, con stupefacente rapidità, il disfacimento materiale e morale conseguente alla catastrofe bellica, è riuscita ad assidersi nel ristretto novero delle grandi nazioni del mondo. 
                                                    
Ortensio Zecchino, presidente del Comitato per le celebrazioni dell’80°anniversario della nascita della Democrazia Cristiana

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