Il report di Bankitalia sulla stabilità finanziaria positivo per oggi, nuvoloso in futuro

Secondo la Banca d’Italia, che oggi ha presentato il rapporto annuale sulla stabilità finanziaria, i rischi per l’Italia sono in leggero calo rispetto allo scorso novembre e quelli di breve periodo sono per lo più legati al possibile aggravarsi dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio oriente, da un lato, e al perdurare degli elevati tassi d’interesse, dall’altro. Del resto, basta guardare come si sono mossi negli ultimi sei mesi i principali indicatori di mercato: lo spread tra btp e bund tedeschi e il premio sui crediti default swap, due parametri che con modalità diverse indicano la rischiosità percepita dagli investitori internazionali, sono entrambi in riduzione.
 

Se, però, si guarda ai conti pubblici del paese con un’ottica di medio-lungo periodo i motivi di preoccupazione non mancano. “Il permanere del debito su valori elevati – dice Palazzo Koch – continua a rappresentare un fattore di rischio, in particolare nel caso di sviluppi dell’economia meno favorevoli delle attese. Per tornare su un sentiero di riduzione, in linea con le indicazioni contenute nella recente riforma del Patto di stabilità e crescita, sarà necessario conseguire un sostenuto rafforzamento del prodotto nonché un miglioramento del disavanzo strutturale”. Nel 2023, il deficit in rapporto al pil è migliorato, anche se meno di quanto programmato dal governo, diminuendo di 1,2 punti percentuali al 7,4 per cento contro un obiettivo del 5,3. La differenza, fa osservare Bankitalia, “è riconducibile soprattutto all’impatto dei bonus edilizi superiori alle attese”. Inoltre l’incidenza del debito sul pil è arrivata al 137,3 per cento, livello superiore di poco più di 3 punti rispetto a quello pre pandemico, e continuerà ad aumentare nel prossimo triennio fino ad arrivare al 139,8 per cento del pil. Questo secondo le previsioni del Def che sono, peraltro, più ottimistiche di quelle di alcune agenzie internazionali, come per esempio Fitch, che prevede un rapporto debito/pil al 142,3 per cento sempre al 2027. 
 

Nel complesso, però, il quadro macroeconomico si è stabilizzato e la Banca d’Italia prevede un rafforzamento della crescita economica nella seconda parte dell’anno, che si confronta con l’inflazione in discesa, il mercato del lavoro che si sta consolidando e, non ultimo, un sistema bancario più che solido grazie agli elevati livelli di redditività. Complessivamente, la crescita economica nazionale, secondo le ultime previsioni di Bankitalia, rallenterebbe dello 0,6 per cento nel 2024 per poi risalire all’1 per cento nel 2025 e all’1,2 per cento nel 2026. Ed è lungo questa traiettoria di crescita che dovrà misurarsi la capacità del paese di rendere sostenibile il suo debito pubblico in costante aumento. Come sia possibile che, di fronte a una sfida così impegnativa per il governo Meloni, i mercati finanziari mostrino tanta tranquillità non è un tema affrontato dal rapporto che, anzi, mostra come l’Italia in confronto al passato sia meno esposta a crisi con potenziale effetto domino rispetto ai paesi nord europei dove, ad esempio, si è creata una pericolosa bolla immobiliare che rischia di coinvolgere banche e imprese.
 

Viene fatto osservare, però, come la politica del Mef di aumentare la quota di titoli di stato nelle mani delle famiglie abbia prodotto un complessivo ribilanciamento nella spartizione del debito pubblico italiano. Grazie alla raffica di emissioni del Mef negli ultimi due anni a condizioni agevolate, la quota di btp in capo ai privati è raddoppiata rispetto al 2021 arrivando a superare il 10 per cento. Ma grazie a queste condizioni, è tornata ad aumentare, anche se di poco, la percentuale nelle mani di investitori (21 per cento), sebbene resti un livello molto basso rispetto al passato (nel 2008 era il 45 per cento). La strategia del ministro Giancarlo Giorgetti ha, dunque, prodotto un risultato tangibile benché ancora lontano dal picco raggiunto 15 anni fa quando le famiglie italiane detenevano il 20 per cento del debito pubblico. Ma era un altro mondo e prima della crisi finanziaria e del debito sovrano. Di sicuro il ritorno di rendimenti più interessanti ha indotto i privati a investire di più sull’Italia, riducendo la liquidità  sui conti correnti dove si sono registrati deflussi per 80 miliardi. La domanda è se questo ritorno di fiducia e una quota del 10 per cento di “bot people” sarà sufficiente ad ammortizzare gli scossoni che dal mercato possono sempre arrivare quando i conti pubblici non tornano. 

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