Quanto vuole essere alta l’onda delle destre sull’Ue

La campagna elettorale europea prende le misure alle destre. La trasformazione dei gruppi, le liti, le accoglienze e soprattutto: i due tedeschi

Ursula von der Leyen è arrivata a Parigi con il suo sorriso migliore, perché entro una manciata di giorni deve ufficializzare la propria candidatura alla guida del Ppe e soprattutto per un secondo mandato come presidente della Commissione europea. E’ il momento della conta e quindi degli enormi sorrisi, con la consapevolezza che le rassicurazioni di oggi non garantiranno notti serene quando effettivamente l’Europa che esce dal voto del 6-9 giugno dovrà prendere forma. Von der Leyen sta facendo i suoi calcoli, e quindi anche le sue promesse, nel momento “onda nera” della campagna elettorale europea, cioè quando le destre estreme sono molto avanti nei sondaggi e si ripropone la domanda: si tiene il cordone sanitario attorno a questi partiti che hanno un’ispirazione evidentemente antieuropea o stanno diventando troppo grandi per essere ignorati e vanno coinvolti? La risposta non è decisa da un singolo, ma nella fase di corteggiamento – un corteggiamento collettivo e caotico – ogni alternativa sembra plausibile. Ancor più se, come sta accadendo adesso, i partiti che raccolgono le destre non tradizionali, cioè l’Ecr dei Conservatori e riformisti e l’Id di Identità e democrazia si stanno riposizionando per non essere scartati in partenza nel gioco delle alleanze della prossima legislatura. Ursula von der Leyen, se riuscirà nella sua ricandidatura, dovrà a un certo punto scegliere se dare una chance a parte di questa destra e in che termini. Naturalmente il fatto che a dare le carte dentro Ecr oggi siano più gli italiani di Giorgia Meloni che i polacchi del PiS appena uscito dal governo rende tutto diverso dal passato.

L’onda nera. Questo è il momento della campagna elettorale in cui si dice: le destre spazzano via tutto. Era accaduto anche nel 2019, ma poi alle elezioni del maggio di quell’anno l’enorme scossone non era arrivato (in Italia sì, con la grande vittoria della Lega). Il Council on Foreign Relations aveva appena pubblicato il suo sondaggione che avvia la campagna elettorale e che diceva: cresce la destra, ingovernabilità. Oggi questa stessa analisi dà numeri un pochino più agghiaccianti e anche gli analisti che di solito dicono di stare attenti alla “bolla nera”, cioè al fatto che le destre sono sempre sovrastimate, ora non lo dicono più. Forse lo fanno per non peccare di ingenuità, forse perché più grande è l’allerta più gli elettori sono portati a valutare le conseguenze del loro voto, forse perché è vero. In questi giorni, sono usciti nuovi sondaggi in Francia – la terra dello scontro perfetto tra centro e destre estreme nel conflitto tra Macron e Marine Le Pen – che fanno pensare che l’onda sarà nera: il Rassemblement national lepenista, guidato dall’astro nascente Jordan Bardella, potrebbe vincere il 33 per cento dei voti; il partito di estrema destra Reconquête – che farà accordi post elettorali con Ecr: uno dei suoi due attuali europarlamentari è entrato nel gruppo – si troverebbe al 6 per cento; la coalizione Ensemble che comprende il partito di Macron Renaissance, arriverebbe al 14 per cento dei consensi. Nel 2019, Macron e Le Pen pareggiarono, oggi la seconda potrebbe doppiare il primo. Le stesse conferme arrivano anche negli altri paesi che fanno parte di questo sondaggio commissionato dalla Portland Communication, con l’eccezione della Polonia dove c’è stato l’avvicendamento più rilevante del mondo conservatore: ha preso il potere Donald Tusk, che è stato il presidente del Partito popolare europeo nonché presidente del Consiglio europeo, ed è stato scalzato il PiS, che è sempre stato l’anima dei conservatori dell’Ecr, in particolare da quando non ci sono più stati i Tory britannici in seguito alla Brexit. Ed è proprio da questo elemento che nasce la trasformazione in corso dell’Ecr.

Come alle scorse elezioni, i sondaggi danno l’“onda nera” in grande ascesa. Ma oggi sono tutti più preoccupati

La candidatura di von der Leyen. La presidente della Commissione deve annunciare la sua candidatura entro il 21 febbraio: sui giornali tedeschi era circolata la data del 19 febbraio come l’Ursula day, ma qualcuno dice che anche la Conferenza di Monaco, la “Davos della difesa” che si tiene questa settimana, potrebbe essere una buona occasione. Il palco internazionale è quello in cui la von der Leyen spicca di più, ancor più ora che l’autonomia strategica dell’Ue sarà un tema rilevante della Conferenza, dal momento che l’America potrebbe riconsegnarsi a un Donald Trump che ha appena invitato il presidente russo Vladimir Putin a invadere pure i paesi della Nato che non pagano la loro quota all’Alleanza, lui questi inadempienti non li vuole proteggere (sempre a proposito dell’onda nera). Von der Leyen ha ottenuto i suoi maggiori successi all’estero, anche perché si è ritrovata a gestire crisi internazionali come la pandemia, l’aggressione russa in Ucraina e ora il massacro del 7 ottobre di Hamas nel sud di Israele. Proprio quest’ultima crisi è quella che ha mandato in tilt l’Unione europea e che ha messo nell’angolo la von der Leyen che, scartando tutti gli ostacoli di forma e di sostanza, si è schierata con Israele senza il consenso di nessuno. Ma c’è da dire che il suo principale rivale dentro l’Ue sulla scena internazionale, il presidente del Consiglio Charles Michel, eterno nemico da quando le levò la sedia ad Ankara e la piazzò sul divano, sta facendo una figura ben peggiore. Si è candidato come europarlamentare facendo temere una sostituzione temporanea e in corsa che è stata molto criticata, al punto che Michel ha ritirato la sua candidatura. Motivazione: sono stato troppo criticato.

Arriva Orbán. Una delle ragioni delle critiche a Michel era il fatto che, secondo le regole istituzionali, a prendere il suo posto avrebbe dovuto essere il leader del paese che ha la presidenza di turno dell’Ue, cioè l’Ungheria, cioè Viktor Orbán. Con tutti i problemi in atto con il premier ungherese, ci mancava giusto che fosse lui a prendere le redini, pur se per pochi mesi, del Consiglio europeo, nel momento in cui va tenuta fede agli impegni presi in particolare con l’Ucraina. Sventato questo pericolo, Orbán vuole comunque rientrare nel gioco delle alleanze europee, dopo essere stato cacciato dal Ppe per evidenti divergenze valoriali, e ha scelto la porta dell’Ecr. Anzi, se vogliamo dirla tutta: la porta di Giorgia Meloni, che è diventata il mazziere dei Conservatori e riformisti, che è definita “ponte” un po’ su tutti i fronti e che ne ha uno che fa brillare gli occhi a molti: quello con la von der Leyen. Orbán ne è consapevole e ha detto che è pronto a entrare dentro a Ecr, e dopo qualche giorno è stato seguito dal partito francese Reconquête, l’operazione politica del saggista sovranista Eric Zemmour, che potrebbe arrivare a sei seggi dopo il voto. A guidare la lista sarà Marion Maréchal, nipote della Le Pen e solitamente molto ostile nei suoi confronti, che in un’intervista al Point ha detto: “L’Ecr potrebbe diventare la terza forza politica del Parlamento europeo con l’arrivo di Reconquête, degli eurodeputati ungheresi di Fidesz, il partito di Orbán, e degli eurodeputati dell’Alleanza per l’Unità della Romania”, mentre “il Rassemblement national e il suo gruppo Identità e democrazia sono ancora marginalizzati all’interno del Parlamento e degli organi europei”. In sostanza, la Maréchal si fa portavoce del corteggiamento dentro le destre dicendo: conviene stare con Ecr, abbiamo più chance di contare.

Il rapporto tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen potrà essere decisivo. Manfred Weber maneggia a suo modo il Ppe

Il divano delle destre. Naturalmente questa campagna acquisti di Ecr ha un significato più profondo rispetto al numero di seggi e in particolare ce l’ha sul tema decisivo che è la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa. Gli ungheresi e i francesi appena accolti sono molto più amichevoli con il Cremlino della media non soltanto di Ecr, ma di buona parte dei partiti europei. E’ una questione quindi rilevante per tutta l’Europa ma ancor più per i partiti di Ecr, cosiddetti identitari: che identità potrà mantenere questo gruppo se i partiti che lo compongono sono tenuti insieme da un calcolo e non da un valore? Resta solo l’euroscetticismo come collante? La risposta non c’è, ma intanto iniziano le minacce di defezione. Charlie Weimers, il leader dei Democratici svedesi a Bruxelles, ha detto a Politico che le scelte dell’Ungheria dopo l’invasione russa dell’Ucraina hanno “seriamente danneggiato” la sua immagine a destra, e ha aggiunto: “I commenti di Orbán ci hanno costretto a valutare le nostre opzioni, tra cui quella di assicurare che Ecr rimanga un gruppo atlantista e critico nei confronti di Vladimir Putin, così come quali altre opzioni esistono per i partiti conservatori che sono in una posizione di governo”. Anche l’Nva, il partito nazionalista fiammingo, ha minacciato di andarsene. Non si tratta soltanto dell’Ucraina: Jacek Saryusz-Wolski, uno dei principali esponenti del PiS polacco, ha suggerito che il partito di Orbán e il resto dell’Ecr potrebbero accettare di essere in disaccordo sulla politica estera mentre si concentrano su quella che considerano la minaccia imminente: combattere il superstato dell’Ue e la coalizione progressista della leadership europea, che è un po’ come ripetere quel che dice Orbán: l’Ue è più pericolosa dell’Urss. Solo che detto da un polacco fa, come direbbe Tusk, rivoltare i conservatori à la Reagan nella tomba. Tutta questa confusione identitaria ricade su Fratelli d’Italia e Meloni, che per ora rimandano a dopo il voto ma che poi una scelta dovranno farla: non vogliono sprecare l’occasione di poter collaborare con il Ppe né subire il “trattamento Orbán” e rimanere isolati. Ma come si dice: delle due l’una. Una fonte di Ecr ha dato a Politico un’interpretazione colorita di questo dilemma: “Orbán dice che vuole fare sesso e Meloni gli risponde: usciamo a ballare”.

Il tedesco ambizioso. La regola del “cordone sanitario” attorno alle estreme destre non esiste formalmente, ma le grandi famiglie hanno sempre presentato candidati alternativi da opporre a quelli della destra estrema per la presidenza di una commissione. L’Ecr sarà compreso dentro al cordone? Molto dipenderà dal Ppe e dal suo presidente, il tedesco Manfred Weber, che ha politicizzato le relazioni tra le famiglie pro europee del Pe con la sua avversione ai socialisti. “Dobbiamo diffidare di Manfred Weber. E’ su una china molto scivolosa”, ci ha detto l’ex ministro degli Esteri lussemburghese, il socialista Jean Asselborn. Il ritorno al potere di Tusk in Polonia dovrebbe contribuire a ricalibrare la posizione del Ppe, ma Weber ha intenzione di far prevalere il potere sui valori.

Il legame tra von der Leyen e Meloni. E’ da qualche mese che gli abbracci e i sorrisi tra von der Leyen e Meloni non passano più inosservati. Prima si badava al fatto che la premier italiana fosse molto meno anti europeista di quel che aveva fatto credere ai suoi stessi elettori, ora invece questa alchimia potrebbe portare a grandi novità negli equilibri europei. In alcune conversazioni bruxellesi emerge che questo legame forte è una situazione win-win per entrambe: von der Leyen otterrebbe il sostegno per un altro mandato alla Commissione, mentre Meloni porta a casa il Recovery Fund senza troppi spasmi e con grande flessibilità da parte di Bruxelles, e crea un punto di leva per l’Ecr dopo giugno. Nel 2024 si potrebbe quindi ripetere quel che è avvenuto nel 2019: la von der Leyen avrà bisogno dei voti di un partito italiano, allora erano i 5 Stelle e oggi sono Fratelli d’Italia. Molti dicono che la Meloni non ha problemi a sostenere la von der Leyen ancor più se, come sembra, l’Ecr potrebbe essere il quarto gruppo al Parlamento europeo e l’Italia potrebbe ambire a un “top job” nella Commissione. Resta però il problema polacco, perché il PiS non è affatto contento della von der Leyen e potrebbe spezzare il consenso dentro a Ecr. Un parlamentare polacco, Radosław Fogiel, ha detto di recente a Euractiv che la presidente della Commissione ha interferito spesso negli affari polacchi, parla di “tradimento” per quel che riguarda i fondi del Recovery fund e conclude: “Ora abbiamo scoperto che non c’erano obiettivi miliari che avremmo dovuto raggiungere, ma che si voleva soltanto riportare Tusk al potere”.

Ognuno avrà i suoi capricci cui badare mentre incrocia tutte le variabili possibili, nazionali, di gruppo, identitarie, provando a mantenere quel che nelle elezioni si perde spesso: la coerenza. Noi oggi facciamo una piccola festa per EuPorn, che è nato esattamente cinque anni fa, nel giorno di San Valentino. In quella prima puntata c’erano molti temi che ritroviamo oggi: l’ascesa delle destre estreme, la trasformazione dell’euroscetticismo, George Soros, la minaccia russa (parlavamo di Crimea, allora), la disinformazione e i gilet gialli. Ci ha fatto particolare tenerezza quel che chiamavamo “Brexit corner”: c’era già parecchia fantasia, ma pure molta paura. Oggi che la Brexit è fallita e che Londra si riavvicina senza farsi troppo notare ai programmi europei che le sono indispensabili per conservare il suo ruolo nel mondo, quel divorzio è la storia perfetta da raccontare a chi si balocca aspettando l’onda nera.

Leave a comment

Your email address will not be published.