Uno stile di vita più adatto ai personaggi belli, ricchi e dissoluti dei romanzi di Bret Easton Ellis che al figlio di un presidente degli Stati Uniti. È tutto documentato nelle 56 pagine di richiesta di rinvio a giudizio, per 9 capi di imputazione, presentata dal procuratore speciale David Weiss al tribunale federale di Los Angeles. Hunter Biden «per quattro anni ha messo in piedi uno schema per non versare almeno 1,4 milioni di dollari» di tasse dovute tra il 2016 e il 2019, presentando tra l’altro «false deduzioni fiscali» e «manomettendo le buste paga e le ritenute fiscali della sua stessa azienda», appropriandosi di milioni di dollari. Nel frattempo «l’imputato ha speso questi soldi in droga, escort e fidanzate, hotel di lusso e immobili in affitto, auto esotiche, vestiti e altri oggetti di carattere personale. Tutto tranne le tasse». Poco importa che poi, grazie a un prestito, Hunter abbia ripagato il debito col fisco. Se condannato, rischia comunque fino a 17 anni di carcere.
Oltre alle altre eventuali condanne che potrebbero arrivare in Delaware, sempre per reati fiscali e per il possesso illegale di una pistola, dopo che un tentativo di patteggiamento per evitare il carcere è andato a monte. Le accuse di evasione fiscale sono sempre state le più pericolose nell’indagine che il procuratore speciale Weiss iniziò su Hunter cinque anni fa, come procuratore del Delaware nominato da Donald Trump, poi riconfermato da Joe Biden nel 2021. Del periodo in cui il 53enne secondogenito dell’attuale presidente era afflitto da gravi problemi di tossicodipendenza, perso in un mondo fatto di soldi facili attraverso affari non sempre trasparenti con aziende cinesi, ucraine e rumene si sapeva già molto. Lui stesso ne aveva parlato in un libro del 2021, Beautiful things. Ma l’incriminazione in California rischia di fare precipitare nuovamente la first family in un passato scomodo e imbarazzante. Soprattutto, se l’anziano capofamiglia è impegnato a riconquistare la fiducia degli elettori in una complicata campagna. Nelle stesse ore in cui i media Usa rilanciavano la notizia dell’incriminazione di Hunter la maggioranza repubblicana alla Camera decideva di presentare la richiesta di un’inchiesta formale di impeachment per Joe, per i presunti legami con i business esteri del figlio. Nulla è finora emerso e con grande probabilità nulla emergerà a carico del presidente, ma si tratta pur sempre di uno strumento di pressione politica, che verrà sicuramente sfruttato da Donald Trump e dagli altri candidati repubblicani.
Dopo la notizia dell’incriminazione, la Casa Bianca non ha rilasciato commenti. A parlare è stato l’avvocato del figlio del presidente, Abbe Lowell: «In base ai fatti e alla legge, se il cognome di Hunter fosse stato qualunque altro, le accuse in Delaware e ora in California non esisterebbero». Venerdì, lo stesso Hunter ha puntato il dito contro la presunta matrice politica delle accuse. «Stanno tentando di uccidermi» per «distruggere la presidenza di mio padre», ha detto in un’intervista. Specularmente, gli stessi argomenti usati da Trump per denunciare la «caccia alle streghe» nei suoi confronti. Con l’incriminazione di Hunter Biden verrà però a mancare al tycoon uno dei suoi argomenti retorici preferiti, la presunta corruzione del dipartimento di Giustizia, accusato di indagare a senso unico. Per la campagna di Biden, le vicende giudiziarie del figlio rischiano di pesare quanto i 91 capi di imputazione contro Trump.