L’Ecofin di ieri si è concluso con un sostanziale nulla di fatto sulla riforma del Patto di Stabilità anche se qualche passo in avanti è stato compiuto. Probabilmente anche il Consiglio Ue del 14-15 dicembre potrebbe non essere risolutivo e la possibilità di un’intesa è formalmente rinviata a un nuovo Ecofin straordinario da tenersi tra il 18 e il 21 dicembre. La maratona notturna di otto ore, conclusasi alle 4 di ieri mattina, non ha cambiato gli assetti e, prima che l’Italia facesse un passo verso Francia, Spagna e Germania, la situazione assomigliava al solito tutti contro tutti. Ogni proposta migliorativa è stata sostanzialmente complicata dal ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, paladino dell’austerity.
Le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sono esemplificative. «Noi accettiamo un pacchetto complessivo», ha dichiarato. «Se l’accordo trovato in una fase transitoria diventasse definitivo, sarebbe logico e coerente con le aspirazioni europee», ha aggiunto ricordando che «abbiamo anche accettato delle salvaguardie, proposte dalla Germania» e che la Nadef prevede una correzione dello 0,5% del deficit, in anticipo rispetto al Patto. La posizione dell’Italia, pertanto, resta sempre la medesima. «Piuttosto che un cattivo accordo sono meglio le regole esistenti», ha ribadito Giorgetti. La ministra spagnola delle Finanze e prossima presidente Bei, Nadia Calviño, potrebbe aver poco da festeggiare: Roma è sempre pronta a porre il veto se l’intesa non fosse soddisfacente.
Quali sono, dunque, i punti su cui si sta cercando un accordo? Fermo restando che i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo dovranno effettuare un aggiustamento strutturale annuo minimo dello 0,5% del deficit/Pil, la Commissione potrà, per un periodo transitorio nel 2025, 2026 e 2027, «tener conto dell’aumento degli interessi pagati nel calcolo dello sforzo di aggiustamento nell’ambito della procedura per disavanzo eccessivo» per non compromettere l’effetto positivo del Pnrr. Su questa previsione c’è divergenza. Il ministro Lindner e i Paesi «frugali» pretendono che l’aggettivo «strutturale» non sia accompagnato da «primario» (cioè al netto della spesa per interessi). Il ministro Giorgetti vorrebbe che la flessibilità che sarà concessa nel periodo 2025-2027 non fosse transitoria, ma che si tenesse sempre conto delle difficoltà che si incontrano.
Sul tavolo anche la nuova clausola di salvaguardia del deficit che, una volta riportato al 3% del Pil, dovrà scendere all’1,5% per i Paesi con debito/Pil sopra il 90% del Pil (2% per chi ha un debito sotto il 90%). Per raggiungere questo target il miglioramento del deficit/Pil strutturale al netto della spesa per interessi dovrà essere annualmente dello 0,3% (0,2% per i Paesi che aggiusteranno il bilancio in 7 anni e non in 4). Durante tutto l’arco di questi piani il debito/Pil deve essere ridotto dell’1% annuo.
Ed è proprio la discesa del debito l’obiettivo che deve essere garantito, pena un inasprimento delle valutazioni della Commissione. Al contrario, secondo l’ultima bozza di accordo, è prevista una clausola di fuga che permetterà ai singoli Paesi di deviare dall’obiettivo di mantenere la spesa pubblica netta nel percorso stabilito a fronte di eventi esterni al di fuori del controllo nazionale (come la pandemia o la guerra in Ucraina). Poi, come detto, i fattori temporanei come l’impatto dell’aumento dei tassi o le spese nazionali per Pnrr e progetti cofinanziati.
Le speranze dell’Italia sono riposte anche nel ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire. «La Francia vuole regole responsabili e chiare che permettano di risanare le finanze pubbliche e mantenere le capacità di investimento, in particolare nella decarbonizzazione e nella transizione climatica», ha detto, in pratica riecheggiando Giorgetti. Ma proprio su questo Lindner è stato chiaro. «Sono convinto che il deficit eccessivo debba essere ridotto, non giustificato», ha tagliato corto chiudendo a qualsiasi possibilità di golden rule. L’Italia, comunque, ha poco da temere: senza rassicurazioni non c’è solo l’arma del veto, ma anche la ratifica del Mes che la settimana prossima arriva alla Camera.