La vita è una malattia sessualmente trasmissibile. Sappiamo solo che ci siamo, ma non sappiamo per quanto. Non sappiamo ciò che sarà di noi (“il futuro è incerto”, ha scritto Seneca), se non che un giorno moriremo. In questo senso la vita è una “malattia” legata a doppio filo con la morte. Nel momento in cui nasciamo, ci esponiamo al rischio, alla sofferenza e alla malattia. Ogni giorno di vita è un passo verso la morte. È terribile ma è così. Solo che non ci pensiamo. Vivere, infatti, è morire giorno dopo giorno. E il Covid ce lo ha tristemente ricordato.
In quel periodo abbiamo accettato norme folli – stare distanti almeno un metro e mezzo l’uno dall’altro, non abbracciarci, salutarci sfiorandoci il gomito – per salvaguardare la nostra salute. Era comprensibile all’inizio. Un morbo misterioso, venuto dalla Cina, stava mandando in crisi il nostro sistema sanitario e mietendo vittime, soprattutto tra gli anziani e i fragili. Abbiamo sospeso la nostra libertà per la sicurezza. Abbiamo indossato la mascherina anche quando eravamo soli per strada perché era necessario “tenere alta la guardia”. Una sorta di arma psicologica per ricordarci che il virus continuava a girare. Ma oggi, che il Covid è come un’influenza? Oggi è ancora “allerta”, come scrivono i giornali. E i medici tornano a proporre norme assurde. Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo), afferma: “Per evitare i contagi, meglio evitare gli auguri con baci e abbracci, abitudine diffusa tra gli italiani soprattutto al Sud. Mantenere un po’ di distanza fisica, in questi casi, non è segnale di un minore affetto ma un gesto di attenzione verso se stessi e agli altri”. E ancora: “Nei locali molto affollati, l’uso della mascherina non è una cattiva idea”. Sono le stesse regole di tre anni fa, per una malattia che, però, è profondamente cambiata e che ha una mortalità bassissima, pari a quella dell’influenza.
Uno degli effetti collaterali del Covid (e non sono pochi) è che ha risvegliato l’ipocondria che alberga in noi. Mai ci siamo preoccupati dell’influenza. I vecchi si vaccinavano, i giovani se la prendevano, consapevoli del fatto che avrebbero dovuto sorbirsi qualche giorno di febbre, un po’ di medicina e di dolore alla schiena. Ora invece c’è il terrore di prendersi l’influenza o qualsiasi altra malattia. Ancora oggi ci sono persone che girano per strada con mascherina e guanti perché temono di essere contagiati da chissà quale morbo. Ma così non vivono. Che senso ha infatti essere al mondo se non possiamo abbracciare le persone che amiamo o se dobbiamo stare lontani da loro? Che senso ha vedere, magari dopo tanto tempo, un amico e non potergli stringere la mano? O vedere la persona che si ama senza baciarla?
Si cerca di togliere il rischio da tutto perché si teme che tutto possa ucciderci. Ma non è così. E, anche se fosse, è meglio morire dopo aver vissuto pienamente e non chiusi in casa. La morte, purtroppo, esiste. Non possiamo cancellarla. Possiamo solo scegliere come vivere.