Il sostegno a Kiev non sia messo in dubbio. Ma Zelensky va portato al tavolo a trattare

Il sostegno a Kiev non sia messo in dubbio. Ma Zelensky va portato al tavolo a trattare

Tutti siamo d’accordo sul fatto che l’Ucraina vada appoggiata nel conflitto con la Russia. Che non debba essere lasciata sola. Perché, come ha spiegato il presidente americano Biden, non si può darla vinta alla prepotenza di Putin. Per cui è giusto che gli Stati Uniti e l’Europa garantiscano nuove risorse. Detto questo è anche sacrosanto chiedere a Zelensky dove voglia arrivare, soprattutto, per il bene del suo Paese. Perché fra sei mesi, al massimo, ci sarà bisogno di nuovi finanziamenti, l’opinione pubblica occidentale sarà più stanca della guerra e si aprirà una campagna elettorale negli Stati Uniti in cui Donald Trump, o chi per lui, farà del disimpegno americano nella guerra in Ucraina uno dei suoi cavalli di battaglia.

Chi pone la questione non lo fa per tirarsi indietro, o peggio ancora, per «putinismo» (ormai vanno di moda le sciocchezze), tutt’altro, ma solo per ricordare che il buonsenso va sempre a braccetto con il realismo: e visto che l’estate scorsa ha dimostrato che il conflitto è in una situazione di stallo, c’è bisogno di trovare, finché si è in tempo, uno sbocco. Partendo da un presupposto che peserà sempre di più nel dibattito dei prossimi mesi: un conto è appoggiare l’Ucraina, svenarsi per fornirgli risorse e, magari, sacrificarsi per salvaguardare l’indipendenza e la libertà di un popolo vittima di un’aggressione (obiettivo nei fatti già raggiunto); un altro è farlo per una diatriba territoriale su un pezzo di Donbass. Qui a lungo andare le ragioni della guerra saranno sempre più difficili da spiegare: ci sono conflitti che sono scoppiati per molto meno, ma nella Storia sono ricordati come esempi di stupidità.

Ecco perché se è opportuno continuare ad assicurare risorse a Kiev, non fosse altro per garantire lo status quo sul campo, nel contempo sarebbe il caso che qualcuno – dagli Stati Uniti all’Europa – invitasse Zelensky ad un tavolo usando il linguaggio della verità. L’ambizione di non rinunciare a nessun territorio, leitmotiv del governo ucraino, è lodevole, ma si scontra con la realtà dei rapporti di forza. Partendo dal presupposto – non certo trascurabile – che il tempo lavora per Putin e non per Zelensky. Ragione per cui bisognerebbe adoperarsi piuttosto per garantire libertà e indipendenza all’Ucraina non solo per l’oggi ma anche per il futuro.

E forse a questo scopo bisognerebbe riprendere le argomentazioni con cui il Presidente americano ha implorato il Congresso Usa e l’Europa di continuare nei finanziamenti a Kiev. Biden ha spiegato che se l’Ucraina crollasse, poi Putin nella sua politica aggressiva colpirebbe un’altra nazione magari della Nato (visto che la Russia in Europa ormai confina solo con paesi che hanno aderito all’Alleanza) costringendo gli altri Stati membri ad intervenire nel conflitto in ossequio all’articolo 5 del Patto Atlantico. Se questa tesi fila – e fila senza alcun dubbio – per assicurare un futuro all’Ucraina e lanciare un segnale inequivocabile a Putin, bisognerebbe far rientrare Kiev negli automatismi del Patto Atlantico o accogliendola nella Nato, o stipulando un accordo equivalente che la leghi all’Alleanza. Anche perché è difficile immaginare tra l’Ucraina e la Russia – con tutti gli odi, rancori, la voglia di revanche accumulata – una tregua, o se si è più ottimisti, una pace che non sia armata. L’esperienza insegna: in queste situazioni, ben che vada, si passa dalla guerra alla guerra fredda.

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