Il mantra secondo cui i tassi resteranno più elevati per un periodo prolungato non fa più presa, come una colla ormai scaduta. Sui mercati internazionali si va consolidando la convinzione che nel 2024 il corso della politica monetaria subirà una brusca sterzata, tale da porre fine alla postura rigida adottata dalle principali banche centrali a partire dalla metà del ’22. A dispetto delle parole ancora affilate pronunciate di recente sia del capo della Fed, Jerome Powell, sia dalla numero uno della Bce, Christine Lagarde, su un possibile ritorno di fiamma dell’inflazione, l’intervento con cui Isabel Schnabel, fra i maggiori falchi dell’Eurotower, ha definitivamente tolto dal tavolo la possibilità di un’ulteriore stretta, è stato inteso come il segnale che a Francoforte il vento è cambiato.
Così, secondo quanto riporta Bloomberg, le aspettative sono ora per una prima sforbiciata già a marzo dell’anno prossimo (in precedenza si ipotizzava giugno o aprile) e per una discesa dei tassi dal 4,5% attuale al 2,5% alla fine del 2024, con qualche divergenza fra gli esperti sul numero di ritocchi (6-8) su cui verrà spalmato l’allentamento. Movimenti al ribasso percepiti anche in Svizzera, dove il franco ha toccato contro l’euro i massimi degli ultimi 14 mesi non solo grazie alla migliore congiuntura, ma anche nella convinzione che la Bns aspetterà almeno giugno prima di imitare le mosse della Bce.
Queste aspettative caricano ancor più di significati la riunione dell’Eurotower di giovedì prossimo, quando la Lagarde dovrà calar la maschera e offrire chiari indicazioni sul percorso che intende intraprendere nei prossimi mesi, anche alla luce delle nuove previsioni su prezzi e crescita. Senza perdere di vista lo stato di salute febbricitante dell’economia nell’eurozona (Pil in calo dello 0,1% nel terzo trimestre) e il sensibile rallentamento del carovita (al 2,4%).
Il summit della banca centrale europea si svolgerà il giorno dopo quella della Fed. Nel suo ultimo discorso, Powell ha sottolineato come sia prematuro speculare su una riduzione dei tassi, ma i mercati non gli credono: il primo taglio viene infatti incasellato nel mese di marzo (oltre il 53% di possibilità) e farà da apripista a quelli successivi per un totale di 150 punti base.
Il dato odierno sul mercato del lavoro Usa potrebbe rafforzare questo scenario, anche se ieri gli investitori sono stati distratti dalle voci provenienti dal Giappone. Dove i commenti aggressivi del governatore della BoJ, Kazuo Ueda, e del suo vice hanno indotto gli operatori ad accreditare di un 50% di chance l’ipotesi di un aumento dei tassi già questo mese. Sarebbe una svolta nella politica monetaria molto lasca abbracciata da Tokyo da oltre un decennio, ma anche un segnale accolto con una certa inquietudine. Dall’inizio del secolo, ogni inasprimento nipponico ha coinciso infatti con una catastrofe finanziaria. Successe nell’agosto 2000 con i tassi riportati allo 0,25%: dopo un paio di settimane, scoppiò la bolla del Nasdaq. Ricapitò nel luglio 2006, con la Borsa cinese collassata del 9% in una sola seduta e, qualche mese dopo, con l’implosione negli Usa di Bear Stearns che diede poi la stura al virus dei subprime e alla successiva crisi globale.
Nessun analista vede in tutto ciò un rapporto di causa ed effetto, ma proprio per questo i mercati fanno i debiti scongiuri.