L’Italia, senza grandi fanfare, ha deciso di mollare la cosiddetta Via della Seta. Un accordo strategico ed economico stipulato con la Cina dal governo Conte nel 2019. Avrebbe dovuto generare affari per 20 miliardi, non ne ha portato a casa neanche uno. Nessuna rottura con i cinesi, semplicemente si ritorna al «business as usual», come direbbero gli americani. Il cui zampino si è fatto sentire. Washington si mostrò preoccupata quando il governo grillino firmò, appare sollevata oggi che l’Italia si sfila. Queste grandi partnership internazionali spesso hanno significato più politico che commerciale. L’economista liberale Frédéric Bastiat lo sapeva bene e scriveva: «Dove non passano le merci, passano gli eserciti».
Chiudersi fa male ai commerci internazionali e, in particolare, alle economie come quella italiana, che l’anno scorso ha esportato 600 miliardi di euro in beni e servizi. Oggi il mondo sta vivendo un riflusso della globalizzazione. Il Wto, che fece entrare la Cina nei commerci mondiali senza pretendere molto, è in una impasse tale che il suo funzionamento giurisdizionale nel risolvere le controversie è diventato praticamente nullo (la Corte di Appello non ha i giudici per funzionare).
Ma, detto tutto ciò, la Via della Seta rappresentava un salto politico che l’Italia non si può permettere. L’Italia, per la sua posizione geografica, è strategica per i commerci nel Mediterraneo. I suoi porti, fino a quando non saranno affossati dalle tassazioni green comunitarie, hanno grande spazio di crescita. Ma abbiamo la necessità di non legarci ad una sola potenza economica. Ed è ciò che il governo Meloni ha in mente. Da una parte con il Piano Mattei per l’Africa, dall’altra con la vicinanza ai progetti infrastrutturali indiani (l’economia in maggiore crescita nel mondo che conta, e in pieno boom demografico) si vuole correttamente giocare sull’intero scacchiere. Con un vantaggio di non poco conto. Diversificare le forniture di energia e non allarmare i nostri principali partner politici e commerciali, che restano gli americani. Quella del governo italiano, dunque, non ha solo dei razionali economici, ma è anche una buona scelta di campo. Questo secolo non si avvia ad essere il secolo cinese, come qualcuno prevedeva, ma non sembra neanche essere l’età d’oro dell’Europa. Rendere l’Italia la piattaforma logistica in Europa dei cinesi era una scelta folle. Fermo restando che le cose si devono fare per bene: e pensare di ignorare la seconda economia mondiale sarebbe comunque scriteriato.