Andrea Agnelli ha compiuto ieri 48 anni. Che cosa rischia la Juventus? La domanda sorge spontanea perché qualunque cosa riguardi la squadra e il club bianconeri porta immediatamente al sospetto che sotto, sopra, alto e basso, come in un pacco regalo natalizio, ci possa essere la magagna, la furbata. Il compleanno dell’ex presidente ha diviso il cosiddetto popolo juventino, si passa dai rimpianti per i 9 scudetti consecutivi ai fumi neri per lo scandalo dei bilanci, l’anniversario trova spazio sui social a commenti di vario e avariato tipo, lo stesso Agnelli non è stato mai un idolo delle curve, non avendo lo charme dello zio o l’autorevolezza del padre. Il calcio non permette più nostalgie, i numeri dei conti sono pugnali nei fianchi, in pochi accettano la caduta dell’impero, chi resiste conferma il ruolo di tifoso fino alla fine, secondo lo slogan dello stesso Agnelli. Sta di fatto che anche in questa ricorrenza si è appalesato un altro antijuventino della tribù-na politica, dopo le elucubrazioni di La Russa Ignazio è sceso in campo il senatore Borghi Enrico, capo della comunità granata, nel senso torinista, in parlamento; una figura di rara esperienza, un vero protagonista del mercato dei partiti, essendo passato dalla diccì di Martinazzoli alla Margherita di Rutelli, quindi nel piddì con Letta, abbandonato dopo la salita di Schlein perché «non fa sintesi e non dialoga» dunque trasferendosi in Azione-Italia Viva-Renew Europa di Renzi. Il Borghi vecchio cuore ha detto pubblicamente che sarebbe opportuna una commissione di inchiesta sulla Juventus «che ruba da cinquant’anni». L’idea è suggestiva ed è già stata realizzata e portata in essere da alcune procure non soltanto sportive, una specie di now and then, ogni tanto per non dimenticare dove sguazzi il diavolo e dove invece gli angeli non riescano a muovere le candide ali. Comunque alla Juve riesce la mission impossible di unire la destra e la sinistra, l’asse La Russa-Borghi è un segnale che porta a riflettere. Ma soprattutto a sghignazzare.