La controffensiva ucraina non è andata – o non sta andando – come avevano previsto i più ottimisti. Lo hanno spiegato diversi analisti e l’hanno certificato anche le perplessità manifestate nei circuiti atlantici, in primis negli Stati Uniti. Ma lo si evince soprattutto da come ne parlano ultimamente i media Usa, i più attenti riguardo gli sviluppi dell’invasione russa e delle mosse del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, soprattutto per il peso che ha il sostegno di Washington.
Da qualche tempo, nei più importanti giornali ed emittenti d’Oltreoceano circolano con insistenza le perplessità strategiche della Casa Bianca e del Pentagono, le divergenze tra Usa e Ucraina, e anche le spaccature all’interno al governo e ai comandi di Kiev. Pesa certamente la campagna elettorale Usa, dove i repubblicani mostrano non poche differenze di vedute sul sostegno militare al Paese invaso. Ma pesano anche le evidenti difficoltà di un esercito che molti, in Occidente, avevano troppo facilmente ritenuto in grado di diventare una forza pienamente corrispondente ai criteri Nato, sottovalutando spesso le capacità dell’esercito russo insieme alla volontà del Cremlino di non cedere di fronte alle difficoltà manifestate sul campo di battaglia.
Il risultato è che la controffensiva ucraina, invece che essere un’avanzata capace di destabilizzare l’armata russa, si è rivelata in realtà una spinta che ha ancora di più cristallizzato la linea del fronte. Uno stallo che preoccupa Zelensky, il quale ora si trova di fronte a due realtà: una guerra possibilmente ancora più lunga e logorante e un Occidente sempre meno granitico nella sua volontà di sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario”, come ripetuto più volte dai leader atlantici.
In tutto questo, l’inchiesta pubblicata dal Washington Post sulle difficoltà dell’operazione militare ucraina e le divergenze con gli Stati Uniti entra nel dibattito affondando come un coltello nel burro. La lunga e approfondita analisi del quotidiano statunitense, che ha avuto modo di sentire decine di funzionari della sicurezza, della Difesa e dell’intelligence, getta una pesante ombra sulla guerra ma soprattutto sui piani di Kiev e Washington. E quello che si evince è che una serie di divergenze sia tra Pentagono e intelligence sia tra Usa e Ucraina hanno portato a un risultato sul campo di battaglia che per molti osservatori è deludente.
L’inchiesta conferma che la preparazione della controffensiva è stata molto lunga e meticolosa. Kiev e i più importanti partner occidentali hanno predisposto addestramenti, esercitazioni, simulazioni, e hanno calcolato in modo molto dettagliato tutti i possibili scenari. Non c’è stata una sottovalutazione del rischio, a detta del Wp, ma ci sono state divergenze che probabilmente hanno pesato in modo decisivo. La prima riguardava la copertura aerea e i sistemi d’arma richiesti da Kiev e che non sono stati forniti dai Paesi Nato al punto da permettere una manovra efficace.
La seconda riguarda le tempistiche, dal momento che il Pentagono avrebbe preferito un’avanzata in aprile su cui però i comandi di Kiev avrebbero tergiversato. Un’altra divergenza avrebbe riguardato il fronte su cui impegnarsi: per il Pentagono doveva essere solo l’asse meridionale, che avrebbe potuto ottimisticamente spezzare le forze russe separando Crimea e Donbass, mentre Kiev ha preferito concentrarsi su più punti del fronte. Divergenze sembra siano esplose anche durante la ormai nota e drammatica battaglia di Bakhmut: un bagno di sangue che divenne essenziale per Kiev quanto per Mosca. Diversi comandanti Oltreoceano e britannici avevano messo in guardia dal rischio di impegnare una forza così importante su un unico campo di battaglia, ma l’impressione è che fosse impossibile per le due parti in guerra abbandonare quella città diventata anche un simbolo per il futuro del conflitto.
Non sono mancate poi anche delle notevoli differenze di vedute in seno agli apparati statunitensi. Sembra infatti che l’intelligence Usa fosse molto meno ottimista del Pentagono riguardo alla buona riuscita della campagna ucraina, e avesse messo in guardia sulle difese allestite dai russi e sulle capacità di resistenza dell’esercito di Mosca, sia per i numeri che per le nuove tattiche messe in atto con il cambio dei generali al comando delle operazioni.
Tutti questi fattori si sono poi uniti a un altro grande tema: la fornitura di aiuti militari occidentali. Quanto sta accadendo in queste ore negli Stati Uniti, con la Casa Bianca terrorizzata dalla possibilità che il Congresso blocchi decine di miliardi dedicati al sostegno militare al Paese invaso da Vladimir Putin, è solo la punta dell’iceberg di un problema che sta iniziando a dilaniare tutto l’Occidente. Washington e gli alleati europei sono consapevoli che, a questi ritmi, la guerra potrebbe continuare anche per anni. L’industria bellica occidentale non potrà sostenere per un tempo illimitato l’esercito di Kiev, mentre la Federazione Russa ha un’intera economia che è stata dirottata sul conflitto. Inoltre, le forze armate russe hanno un unico fornitore, mentre quelle ucraine devono fare affidamento su produttori diversi, su modelli diversi e su logistiche diverse. A questo si aggiunge il tema della copertura aerea: fondamentale per qualsiasi forza Nato e dunque fondamentale anche per un esercito come quello ucraino sostenuto e plasmato su standard atlantici.
Ora, con l’inverno che ormai inizia di nuovo a fermare il fronte e con indizi su un possibile negoziato tra le parti, è chiaro che queste divergenze siano rese sempre più visibili. La domanda che ci si pone è quale sia la volontà occidentale: se sostenere l’Ucraina in modo ancora più deciso, anche dopo la lezione della controffensiva, o premere affinché le parti si siedano intorno a un tavolo. Obiettivo non semplice, dal momento che un negoziato significa arrivare a un compromesso che costringerebbe Kiev ad accettare uno status quo ben diverso dall’obiettivo di ripristinare i suoi confini riottenendo i territori occupati.