La folla e il rumore per Giulia. Elena: “Il mio angelo custode”

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Con il palmo aperto accarezza il nome scritto sulla gigantografia, le vocali, le consonanti. Ha le dita nodose, non ha mai conosciuto Giulia ma piange disperata, ha settantotto anni ed è venuta apposta da Verona: «Mi sembrava giusto esserci». Tutta la piazza davanti alla Basilica di Santa Giustina a Prato della Valle si è portata qui per lo stesso motivo. Ieri l’Italia ha salutato Giulia Cecchettin, massacrata dal suo ex fidanzato Filippo Turetta il 18 novembre scorso, con due funerali: uno «di Stato» con oltre novemila persone fuori dalla chiesa e più di mille all’interno e uno «privato» dove almeno altre tremila non l’hanno lasciata fino a quando non è stata sottoterra, con sei tombe a dividerla dalla sua mamma Monica Camerotto.



La bara bianca è arrivata alle 11 con il cuscino di rose dello stesso colore: papà, Davide (il fratello) ed Elena (la sorella) era scritto sui nastri. Tre sopravvissuti che la vita ha reso dei lottatori. Si abbracciano e incrociano le mani tra le corone di fiori arrivate da ogni dove (comprese quelle inviate dalla premier Giorgia Meloni e dal presidente Sergio Mattarella) e il profumo snervante dei petali spessi. Ci sono anche i nonni, quello materno cammina a fatica sorretto dalle stampelle e gli ziie gli amici e i vicini del paese e c’è mezza Italia lì a promettere che Giulia è il capolinea di tutte le storie come la sua. Ma non sarà così, purtroppo. C’è il vescovo di Padova Claudio Cipolla, ci sono i sindaci veneti che il presidente della Regione, Luca Zaia, seduto in prima fila ha fortemente voluto, c’è il ministro della Giustizia Carlo Nordio in rappresentanza del governo, ci sono le autorità civili e militari. Il vescovo parla di Giulia, di ciò che mai avremmo voluto vedere e sentire, dell’attesa angosciosa dei primi giorni, e del dopo che è stato anche peggio, chiede ai giovani di amare di più e meglio, invoca la pace tra generi e invoca la pace anche per Filippo e la sua famiglia. Un’omelia interrotta dalla lettura di qualche amica di Giulia, dalle musiche, dai pianti corali e dagli applausi dentro e fuori la chiesa.

Sul pulpito preparano la comunione e Vincenzo Gualzetti, il padre di Chiara, la quindicenne di Monteveglio assassinata nel 2021, si avvicina a Gino Cecchettin: Vincenzo è un omone, lo tira a sé e lo avvolge in un abbraccio poderoso, cinge quell’uomo mite e composto magro risucchiato, come un pesce con troppe lische. È il suo discorso, quello di Gino, che tutti attendono. Inizia con la sua Giulia, sistema la voce strada facendo e poi passa a quello che sembra un manifesto programmatico contro il femminicidio, poi una poesia di Khalil Gibran, «Il vero amore», e di nuovo la sua Giulia che «è giunto il momento di lasciare andare». Quando si riaprono le porte della Basilica, fuori, la folla ha finito di comporsi: è una moltitudine immobile e paziente immersa in un clima esigente. Dentro ci sono le compagne di danza di Giulia, una signora che è caduta rovinosamente sbucciandosi il viso ma resta lì, con il ghiaccio secco sulle ferite, un sacco di mamme che si stringono al petto, grate, le figlie di ogni età, un signore che conosce il dolore perché ha un figlio nell’esercito e ha visto uccisi tanti suoi amici. Escono i Cecchettin e la piazza esplode in un applauso, poi si ammutolisce e poi inizia a far tintinnare le chiavi: tutto all’unisono, come mossa da una regia invisibile. Si parte per Saonara, il paese della mamma di Giulia dove riposeranno entrambi e un’altra folla segue il feretro.

È la seconda funzione in una chiesa più piccola quella che si tiene qui, dentro solo parenti e amici, fuori i maxischermi come sul sagrato di Prato della Valle. Elena e Davide (che ha 17 anni, fa il liceo scientifico, è identico al suo papà e mette una tenerezza da strapparsi il cuore dal petto, senza mamma e ora senza Giulia) cercano una pausa dalla folla in un bar lì accanto. Qualche amico a fargli da scudo e un pacchetto di patatine sgranocchiate svogliatamente ma sopra alla testa un televisore acceso sui tg rimanda la bara di Giulia e il funerale e le immagini che non lasciano tregua. Tornano in chiesa dove prima la zia di Giulia e poi Elena la raccontano in maniera straziante. Giulia piccola, i peluche, le passeggiate, la musica, i pranzi dalla nonna, l’impermeabile giallo, la passione per le scatole, gli abbracci della mamma, i gelati e le pizze che Giulia e la mamma dividevano sempre «perché», spiega Elena, «Giulia detestava scegliere» «scegli tu» chiedeva a Monica. I ricordi mordono con denti da iena. «Eri la mia sorella piccola ma eri anche la più grande. E sarai sempre il mio angelo custode». È una folla di gente stravolta quella che ascolta e piange, piange e ascolta. «Spero solo una cosa» esplode un ragazzo che è venuto apposta da Perugia riferendosi a Filippo Turetta «che quello non veda nemmeno un pezzino di luce». Sembra che anche Gino Cecchettin non abbia più pronunciato il nome di Filippo. «Sono andato con lui quando hanno trovato Giulia» dice il suo migliore amico, Roberto «abbiamo fatto il viaggio muti. Gli ho detto che almeno l’avevamo trovata… E ho avuto tanta rabbia nei confronti di Filippo, ho detto cose. Ma Gino mai. Mi ha solo confessato che si augura che viva a lungo, per capire. Gino è l’uomo più buono del mondo».

Al cimitero l’uomo più buono del mondo ha baciato e abbracciato chiunque andasse a stringergli la mano, gente mai vista prima. Ha ringraziato tutti: uno a uno. Così come ha portato la colazione ogni mattina ai giornalisti accampati davanti a casa sua nei giorni scorsi «poverini, col freddo che fa». Su Giulia hanno iniziato a posare le rose, con delicatezza, «non come quell’altro ha fatto con lei, che l’ha buttata via» dice un altro riferendosi a Turetta che l’ha gettata in una scarpata. E su Giulia arriva la terra. E sudi noi una certezza: se tutti gli uomini fossero come Gino Cecchettin questa orrenda meravigliosa giornata non sarebbe mai esistita.

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