Per Dominique Meyer, sovrintendente e direttore artistico della Scala, sarà un’inaugurazione di stagione – la più nota al mondo – col fiato sospeso: potrebbe essere la sua penultima, considerato il contratto in scadenza nel 2025, ma non è detto che il mandato non venga prolungato. In breve, domina il limbo, quello vissuto da Don Carlo, il protagonista dell’omonima opera del 7 dicembre scaligero: il padre Filippo II prima gli sfila l’amata Elisabetta, impalmandola, poi gli nega i territori delle Fiandre dove Carlo vorrebbe fare le prove generali da futuro re. Ma c’è il colpo di teatro sferrato da Giuseppe Verdi, firma del capolavoro, che nel finale porta alla ribalta il nonno, il defunto imperatore Carlo V, a salvataggio del nipote. Tutto è possibile, insomma, nel teatro e in un teatro.
La questione Meyer – il mandato verrà prolungato? Se sì: di uno o cinque anni? – si trascina da un bel po’ slittando di cda in cda. Il tempo stringe, a dire il vero sarebbe anche scaduto; le stagioni vanno programmate con largo anticipo, la Scala non è un’azienda in senso stretto, pur avendo mille dipendenti e un bilancio da 126 milioni di euro è una fabbrica d’arte, dunque fatta da artisti, anime di cristallo, si affezionano a un sovrintendente, detestano quell’altro, firmano contratti sull’onda dell’emozione e della conoscenza consolidata. Quanto alle maestranze bisogna sapersi orientare nei labirinti sindacali, e guai poi a non tener conto dell’umore dell’orchestra, del corpo di ballo e soprattutto del coro, umori che conosci sperimentando l’ambiente con occhio e orecchio vigili. Insomma, è sempre duro per un nuovo sovrintendente ereditare le stagioni confezionate da chi lo ha preceduto, ma anche i rapporti con le maestranze e con i mecenati, questi ultimi decisivi alla Scala che grazie a loro copre un terzo del bilancio. Le transizioni vanno quindi gestite con cura, non s’improvvisano.
Meyer è nato in Alsazia nel 1955 e a rigor di legge, che manda in pensione un sovrintendente a 70 anni, dovrebbe lasciare la guida della Scala nel 2025. Fatta la legge, trovato l’inganno. La Scala è una Fondazione di diritto privato con un proprio statuto, quindi per Meyer potrebbe scattare l’eccezione. E lui ci conta. Accusato dai detrattori e da quanti spasimano per la sua poltrona di avere scarsa fantasia nel cucinare le stagioni, lui risponde sfoderando bilanci in ordine e ricavi propri in crescendo, e fra qualche settimana annuncerà un nuovo fondatore permanente. Fa andata e ritorno da Parigi in giornata «per assicurare i rapporti con una sostenitrice molto importante» e va Oltreoceano per allargare il circolo dei mecenati stranieri, da sommare a quello dominante a bandiera tricolore.
Conoscitore dell’arte della diplomazia, evita trappole e raccoglie opportunità: seppur faticose, al limite dell’azzardo. L’1 dicembre, a un soffio dalla Prima (questo l’azzardo), ha portato la Scala all’Opera House di Dubai per la serata di gala che ha aperto i lavori della Cop28. Bel segnale dal governo che ha perorato la presenza scaligera nel Golfo, anche a compensazione di un palco reale quest’anno scarsamente romano. Giorgia Meloni, assente alla Prima di domani, era lì, in platea e poi nel retropalco per congratularsi con gli artisti: «Siete stati grandiosi, Una grande serata d’orgoglio. Sono contenta che l’abbiamo fatto insieme». Il governo ha chiesto, e Meyer ha dato: «dobbiamo esserci quando lo Stato chiede la presenza di un grande teatro». Domanda a margine: se un magnate del Golfo si proponesse come mecenate? «Conosco questa problematica. Meglio essere prudente. Non cado nelle trappole così facilmente». Chi lo ha preceduto venne licenziato per aver accettato petrodollari, quelli che rimpinguano le casse dello sport, dell’edilizia e via discorrendo. Ma questa è un’altra storia.