Era il 1971 quando Mel Stuart portò sul grande schermo Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, trasposizione del romanzo per ragazzi di Roald Dahl incentrato su un burbero ed eccentrico cioccolataio interpretato da Gene Wilder. Willy Wonka, coi sui cinque biglietti d’oro e la visita alla famosissima fabbrica di cioccolato di cui è proprietario, è entrato senza dubbio nell’immaginario collettivo, diventando un bagaglio culturale condiviso a livello internazionale. Nel 2005 il regista Tim Burton portò al cinema una sorta di remake, una nuova trasposizione che vedeva johnny Depp vestire i panni di Willy Wonka, in una versione un po’ più giovane e meno misantropa, con l’aggiunta di una storia personale del cioccolataio, legato a un rapporto problematico col padre. Sembrava, dunque, che La fabbrica di cioccolato avesse dato tutto quello che poteva alla settima arte. Finché, naturalmente, non è arrivato Wonka. Diretto e scritto da Paul King, Wonka rappresenta un prequel in musica di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, di cui eredita anche il tema musicale principale, Pure imagination.
Willy Wonka all’origine di tutto
In sala a partire dal 14 dicembre – giusto in tempo per diventare un film di punta della stagione cinematografica – Wonka racconta la storia di un giovanissimo Willy (Timothée Chalamet), un aspirante cioccolatiere che giunge nella capitale del cioccolato per far conoscere la sua arte e rispettare una vecchia promessa fatta a sua madre (Sally Hawkins). L’arrivo, però, è più traumatico di quanto preventivato. A corto di soldi, il ragazzo finisce nella locanda di Mrs. Scrubbit (Olivia Colman) che, attraverso un inganno, lo costringe a lavorare per lei. Insieme a Willy anche altri sono caduti nella stessa trappola tra cui il contabile Abacus (il Jim Carter di Downton Abbey) e la giovanissima Noodle (Calah Lane). Il nuovo gruppo di amici, allora, farà squadra per aiutare Willy a vincere contro il cosiddetto cartello del cioccolato, composto da Slugworth (Peterson Joseph), Fickelgruber (Matthew Baynton) e Prodnose (Matt Lucas), che sono protetti sia dal capo della polizia (Keegan-Michael Key) sia da un potente prete (Rowan Atkinson). Tuttavia il sogno di Willy sembra essere più forte di qualsiasi avversità, compresa quella impersonata da un buffo ometto dalla pelle arancione e i capelli verdi (Hugh Grant).
Se dunque è vero che, quando al cinema si produce e si realizza un remake o un sequel, il pubblico è sempre pronto a storcere il naso e a domandarsi l’utilità di tale operazione filmica, Paul King sembra aver voluto aggirare il problema prendendo per mano lo spettatore, conducendolo all’origine del mito, quando l’uomo era solo uomo e non ancora leggenda.
Tanti (forse troppi?) buoni sentimenti
Wonka è un film per famiglie. Già questa frase basterebbe a individuare e categorizzare il lungometraggio in arrivo al cinema. Miscelando le atmosfere di Charles Dickens – orfani sperduti, parenti malvagi, locande dalla dubbia moralità – a una scenografia che sembra quasi di stampo disneyano, la nuova pellicola con Timothée Chalamet è in qualche modo il trionfo dei buoni sentimenti. Paul King porta sullo schermo uno scheletro narrativo in cui indaga con placida serenità temi come quello della found family e dei legami non-di-sangue, ma anche l’importanza di continuare a sognare e di impegnarsi per ottenere ciò che si è sempre desiderato. E questo è uno schema di sicuro funzionale davanti all’ambizione di essere, appunto, un film per famiglie. Un film, cioè, che veicola messaggi positivi, dove la separazione tra buoni e cattivi è estremamente netta e dove gli antagonisti sono quasi delle maschere per rappresentare valori negativi, come il classismo, la corruzione o l’abuso di potere. Tuttavia non si può fare a meno di notare come questa scelta abbia in qualche modo svestito Willy Wonka di parte del suo carattere. In un mondo utopico, forse, si potrebbe guardare un film senza sentire il peso delle proprie esperienze da spettatore o da lettore: ma osservando un film incentrato su un personaggio tanto iconico non si può fare a meno di far nascere un confronto tra il personaggio di Timothée Chalamet e quello dei suoi predecessori, in particolar modo di quel Gene Wilder a cui il film di King chiaramente rimanda. Il pubblico più adulto, infatti, è abituato a un Willy Wonka eccentrico e irrazionale, che però è vestito anche di una sua armatura di misantropia, che lo ha portato ad essere quasi un eremita. Un ritratto che, al contrario, stona con quello di questo giovane Wonka che crede a chiunque e si fa raggirare da chiunque, che è talmente positivo da risultare, solo a volte, quasi fastidioso. Wonka è a conti fatti un film “gentile”, che smorza un po’ l’idea di conflitto e di confronto, che è rassicurante e piacevole, ma che sembra mancare di quel pizzico di “cattiveria” che lo avrebbe potuto rendere molto più d’impatto e tridimensionale.
Wonka, un musical comunque riuscito
Al di là di questi problemi che, però, svaniscono davanti alla volontà chiara di realizzare un film che potesse accontentare più o meno tutti, Wonka è un film che funziona. Sorretto da un cast estremamente brillante, che riesce con le sue interpretazione a riempire lo schermo più di quanto già non faccia la sontuosa scenografia, Wonka è anche un film estremamente divertente, che si lascia guardare senza sforza e che permette a chi è seduto in poltrona di staccare la spina ai problemi quotidiani e di lasciarsi trasportare in un’altra dimensione. Anche l’impianto musicale è di altissimo livello, ma va da sé che Wonka non è un film adatto a chi non ama i musical, sebbene nella versione italiana del film tutte le canzoni sono state doppiate, per rendere la fruizione più facile sia per i bambini sia per coloro che hanno problemi a seguire sequenze in lingua originale con sottotitoli. Infine, il film non rinuncia nemmeno a un evidente effetto nostalgia, creando rimandi e omaggi palesi al lungometraggio del 1971: dal biglietto d’oro a personaggi che richiamano apertamente i cinque bambini che visitano la fabbrica, passando anche per il tema musicale principale.