Luigi XVII, la tragica fine del bambino vittima del Terrore francese

Wikicommons, ultimo ritratto di Luigi XVII

I bambini andrebbero sempre lasciati fuori dalle beghe e dalle guerre degli adulti. Innocenti per definizione, sempre e comunque, a prescindere da tutto, i più piccoli non possono e non devono pagare per ciò che fanno i grandi. La vita, ma soprattutto la morte del piccolo Luigi XVII (1785-1795) ci insegna proprio questo, benché ancora oggi la lezione faccia ancora fatica a essere recepita. Figlio di Maria Antonietta (1755-1793) e di Luigi XVI (1754-1793) il giovane Delfino di Francia divenne il giovanissimo capro espiatorio degli errori dei genitori e dell’odio di quasi un’intera nazione. Usando, vigliaccamente, il bambino, i rivoluzionari volevano non solo demolire l’immagine della monarchia, ma soprattutto schiacciare Maria Antonietta, considerata la vera causa dei mali della Francia. Quale modo migliore di fiaccare quella che veniva considerata la superbia della Regina se non colpendola nel suo cuore di madre? La fine del piccolo Luigi, però, presenta ancora oggi dei punti oscuri, a cominciare dalla sorte del suo cadavere.

Un piccolo sovrano senza regno

Luigi Carlo di Borbone, terzo figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta, non era destinato a diventare erede al trono di Francia. Quando venne al mondo, il 27 marzo 1785, il Delfino era suo fratello maggiore, Luigi Giuseppe. Quest’ultimo, però, morì nel 1789, a causa di una tubercolosi ossea. Così, nella fase iniziale della Rivoluzione francese, Luigi Carlo si ritrovò al centro della Storia, di eventi più grandi di lui, che ben presto lo avrebbero travolto.

Quando Maria Antonietta era incinta di Luigi Giuseppe, iniziarono a circolare libelli scandalistici che mettevano in dubbio la paternità del bambino, attribuendola al presunto amante della Regina, Hans Axel Von Fersen (1755-1810). La storia si ripeté con Luigi Carlo. L’intento era evidente: mettere in discussione la legittimità della successione al trono e, di conseguenza, destabilizzare la monarchia. L’infanzia di Luigi Carlo fu spensierata fino all’ottobre 1789 quando, scoppiata la Rivoluzione, la famiglia reale dovette abbandonare Versailles per trasferirsi nel Palazzo delle Tuileries.

Il 12 agosto 1792 i sovrani e i loro figli vennero trasferiti nella prigione della Torre del Tempio, parte di una fortezza costruita dai Templari. Luigi XVI, però, venne separato dai familiari. Il suo destino era già scritto: essere processato e ghigliottinato il 21 gennaio 1793. Alla morte del padre Luigi Carlo venne riconosciuto dalla fazione monarchica come il legittimo Re di Francia Luigi XVII. Non vi era più un Paese su cui governare, ma quel bambino rappresentava la speranza di restaurare il potere della Corona.

Un pericolo che i rivoluzionari non potevano permettersi di correre. Per stroncare sul nascere qualunque possibilità di vanificare i loro sforzi, nel luglio 1793 i ribelli strapparono il bambino a Maria Antonietta e lo affidarono a un ciabattino analfabeta, il giacobino Antoine Simon (1736-1794), che aveva l’ordine di fargli dimenticare la sua precedente vita a corte, plagiarlo e renderlo un piccolo, perfetto repubblicano che avrebbe dovuto testimoniare nel processo farsa contro sua madre. Da quel momento per Luigi Carlo sarebbe iniziato un calvario.

Angherie e violenze

Sul modo in cui Antoine Simon trattò Luigi Carlo non vi è un parere unanime. Per alcuni il ciabattino fu piuttosto attento alle esigenze del bambino. Altri, invece, lo descrivono come un alcolizzato, un uomo violento che non aveva alcun riguardo per il piccolo, anzi, lo umiliava in una maniera crudele, che a tratti sfiorava il sadismo. Più affettuosa sarebbe stata la moglie di Antoine, Marie-Jeanne.

Proviamo a guardare la vicenda da un altro punto di vista: il Delfino era cresciuto tra gli agi di Versailles, coccolato e amato. Nel giro di pochi anni si ritrovò lontano dalla madre, suo punto di riferimento principale, soprattutto dopo la morte del padre, costretto a vivere in un ambiente estraneo e spoglio (un’altra ala del Tempio), con due persone sconosciute, cresciute nella totale ignoranza e nell’indigenza. Un trauma. All’epoca, poi, purtroppo non c’era la stessa attenzione che noi riserviamo oggi all’infanzia: i ragazzini poveri, già all’età del Delfino, erano abituati a lavorare duramente e la loro “educazione” consisteva spesso non in parole tranquille, consolatorie, insegnamenti ed esempi, ma in urla e botte.

Maria Antonietta e sua figlia Maria Teresa Carlotta (1778-1851, unica figlia femmina sopravvissuta, perché l’ultimogenita dei reali francesi, Sofia Elena Beatrice, morì nel 1787 a neanche un anno di età) potevano vedere dalla loro prigionia il bambino che giocava nel giardino del Tempio. Lo avrebbero sentito cantare canzoni rivoluzionarie, segno evidente del plagio, o magari della fragilità di un bambino disorientato, che voleva solo evitare i rimproveri del suo aguzzino.

Nell’ottobre 1793 Luigi Carlo firmò un documento in cui sosteneva la terribile bugia di aver avuto rapporti incestuosi con la madre e la zia paterna Elisabetta. Per la Regina fu uno strazio venirne a conoscenza. È evidente che quel foglio venne redatto per screditare ulteriormente Maria Antonietta e infangarla nel peggiore dei modi, colpendola in un punto debole. I rivoluzionari potrebbero aver approfittato di un’abitudine di Luigi Carlo: in alcune lettere la madre spiega che il bambino era stato rimproverato diverse volte, poiché sorpreso in atti di autoerotismo.

Non è escluso che anche Simon si sia accorto di questo atteggiamento e lo abbia usato contro Maria Antonietta. Il Delfino avrebbe firmato la dichiarazione sotto minaccia o aver inventato le accuse, intimorito dalla possibilità di punizioni e ritorsioni. Luigi Carlo non poteva sapere che quel documento avrebbe devastato completamente l’immagine della sovrana come madre e come donna.

Il principe dimenticato

Quando la Regina morì, il 16 ottobre 1793, il bambino venne lasciato completamente solo. I rivoluzionari non avevano più alcun interesse nei suoi confronti: i genitori erano stati giustiziati, il regno si era dissolto e lui non era più nemmeno un’arma da usare contro Maria Antonietta. Antoine Simon aveva concluso il suo compito e abbandonò la Torre del Tempio nel gennaio 1794. La fredda stanza del Delfino venne sigillata: dalla finestra entrava pochissima luce, la porta era sprangata, visto che il cibo veniva fatto passare da una fessura e i servizi igienici erano del tutto assenti. Nessuno poteva né incontrare, né parlare con il bambino.

Nel luglio 1794 il capo del Direttorio, Paul Barras (1755-1829), fece visita a Luigi Carlo, lo trovò in pessime condizioni: sporco, denutrito, pieno di parassiti. Diede ordine che venisse lavato e i suoi abiti cambiati. Servì a poco. Dopo la morte di Robespierre (1758-1794) il clima politico in Francia si ammorbidì, creando i presupposti per la liberazione dei due figli dei sovrani, Luigi Carlo e Maria Teresa Carlotta. Quest’ultima venne liberata e portata a Vienna. Non ci fu nulla da fare, invece, per il Delfino: il timore che divenisse un simbolo monarchico, una sorta di vessillo da utilizzare per restaurare la monarchia assoluta era troppo forte. Il bambino, devastato nel corpo e nello spirito, rimase nella sua prigione fino alla morte, avvenuta l’8 giugno 1795.

Cuore di Luigi XVII

Il mistero della sepoltura, il viaggio di un piccolo cuore

Dopo il decesso il dottor Philippe-Jean Pellettan fu incaricato di eseguire l’autopsia sul corpo del bambino. La conclusione fu tremenda: nulla avrebbe potuto salvare Luigi Carlo, ormai troppo malato. Aveva contratto la scrofolosi, la tubercolosi e un’infezione ai linfonodi. Tutte malattie causate dall’ambiente malsano in cui aveva vissuto i suoi ultimi anni.

Terminata l’autopsia le spoglie del Delfino sarebbero state seppellite in un luogo sconosciuto. Qualcuno sostiene che siano state gettate in una fossa comune, altri che si trovino nelle Catacombe di Parigi. Secondo la versione più accreditata, però, il bimbo sarebbe stato sepolto nel cimitero di Sainte-Marguerite (Parigi). Ad avvalorare questa tesi c’è la testimonianza della prima cameriera di Maria Antonietta, Jeanne Louise Henriette Campan (1752-1822), la quale precisò che la cerimonia funebre sarebbe stata officiata in gran segreto e sulla tomba non sarebbe stata sistemata nessuna lapide.

La sepoltura misteriosa e il mancato ritrovamento del corpo diedero adito alle teorie più disparate, secondo le quali Luigi XVII non sarebbe morto nella prigione del Tempio, poiché gli alleati monarchici avrebbero fatto in tempo a farlo evadere. Questa ricostruzione fantasiosa spalancò le porte a ben 43 “falsi Delfini”, impostori senza scrupoli che miravano solo al potere, come accadde anche per l’assassinio della famiglia dell’ultimo zar di Russia.

Luigi Carlo morì davvero in carcere, a soli 10 anni. La storia, però, non finisce qui. Il dottor Pelletan, subito dopo l’autopsia, trafugò il cuore di Luigi Carlo, convinto di poter lucrare su questo macabro resto conservato nell’alcool. Tentò di rivenderlo a Luigi XVIII (1755-1824, fratello di Luigi XVI e Re dal 1814) e al suo successore, Carlo X (1757-1836). Invano, poiché i sovrani non credevano si trattasse del cuore del piccolo Delfino.

Uno studente di Pellettan lo avrebbe rubato, confessando il furto alla moglie solo in punto di morte. La donna donò quella che ormai era diventata una sorta di reliquia all’arcivescovo di Parigi. Il cuore rimase nell’arcivescovado fino alla Rivoluzione del 1830. Da quel momento in poi passò di proprietario in proprietario, attraversando la Spagna, l’Austria e il Portogallo prima di tornare a Parigi, nel 1975 ed essere collocato nella Basilica di Saint-Denis, dove si trova ancora oggi, accanto ai genitori e ai fratelli. Questo piccolo cuore, ormai pietrificato, ha comunque svelato un mistero: nel 2000 la reliquia venne sottoposta al test del Dna. Jean Jacques Cassiman, dell’Università Cattolica di Lovanio e Bernd Brinkmann, dell’Università di Münster, la confrontarono con i capelli di Maria Antonietta.

Il risultato fu quello sperato: il cuore era autentico, apparteneva a un figlio della Regina, probabilmente Luigi Carlo. Il discorso della paternità, invece, è tuttora controverso: non fu possibile fare comparazioni con i resti di Luigi XVI, ricoperti di calce viva e neppure con quelli di Luigi Giuseppe, il cui corpo era stato imbalsamato. In ogni caso i risultati delle analisi rendono nulle le pretese dei 43 “falsi Delfini”. Di tutta questa vicenda vergognosa resta la terribile sofferenza di un bambino innocente. La sua storia, per certi versi, è molto attuale e ci dimostra che, ancora una volta, non siamo stati capaci di imparare nulla dal passato.

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