Vabbè, l’operazione sarà pure un po’ cara, balla ancora qualche milione e restano «dei meccanismi legali da oliare meglio», come spiegano a Palazzo Chigi, ma insomma il più è fatto perché, dice Giorgia ai suoi, «l’importante è partire: vedrete che presto il nostro accordo sarà un modello per tutta l’Europa». Dopo settimane di polemiche, preceduto da un lungo preconsiglio, il protocollo Roma-Tirana planerà oggi sul tavolo del governo: dalla prossima primavera i migranti salvati in Mediterraneo delle nostre navi verranno trasferiti in Albania. Quanti? Si comincia con 7-800 posti al giorno per arrivare, lo ha spiegato in Parlamento Antonio Tajani, «fino a tremila nello stesso momento». In un anno ventimila. Il provvedimento, nato con l’idea di allentare la pressione su Lampedusa, prevede la realizzazione di due punti di raccolta. Nel porto di Shengjin, nel nord del Paese, sorgerà un centro di prima accoglienza attrezzato per le procedure di pronto soccorso, vaglio, identificazione e rilevamento delle impronte digitali. Nella zona di Gjader, a trenta chilometri di distanza, invece sarà costruita una struttura per trattenere le persone che, dopo il controllo, non risultano possedere i requisiti per il diritto di asilo. In quell’area c’è pure un’ex base sotterranea dell’aeronautica albanese, il che dal punto di vista logistico potrebbe facilitare i rimpatri di chi non ha titolo per restare.
«Il protocollo non è una nuova Guantanamo – parole del ministro degli Esteri – e non viola il diritto europeo. Le procedure e i controlli saranno effettuati da personale italiano e funzioneranno secondo le leggi internazionali. Le due aree avranno la giurisdizione italiana e i costi saranno a nostro carico». Ecco, i costi. Le cifre ballano anche a secondo del colore politico. Qualche decina di milioni o giù di lì per il 2024, pensano i tecnici di Viminale e Farnesina, almeno cento invece secondo l’opposizione. Un po’ meno servirà per ognuno dei quattro anni successivi, ma per una stima completa bisognerà attendere probabilmente il passaggio alle Camere dell’intesa. Un prezzo giusto? Troppo alto? La risposta ruoterà fatalmente attorno al numero dei migranti che si riuscirà ad assistere, quando i centri saranno pronti e la macchina viaggerà a pieno regime, considerando le variabili del turn over, dei rimpatri e delle trasferte delle forze dell’ordine. Ma dal punto di vista del governo quello che conta è soprattutto il segnale. «Esternalizzazione della gestione dei migranti», ci chiama così con questa brutta allocuzione la strategia di Palazzo Chigi per provare a regolare i flussi. Giorgia Meloni ne parlerà domani con Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo.
Intanto a Bruxelles l’iniziativa di Roma ha trovato una certa attenzione. Giorni fa la commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson ha precisato che l’accordo con l’Albania «non cozza con il diritto dell’Unione» e non ha nulla a che vedere con l’intesa tra Regno Unito e Ruanda. Altri Paesi Ue stanno studiando la vicenda. Dalla Danimarca, che sta valutando la creazione di hotspot in Stati terzi, all’Austria, che pensa di processare all’estero le domande di asilo, alla Germania, con il cancelliere Scholtz possibilista a considerare opzioni tipo Albania. La Meloni è convinta, «saremo un modello».