Demenza, ecco l’associazione con una scarsa qualità del sonno

Demenza, ecco l'associazione con una scarsa qualità del sonno

Con l’età può diminuire la qualità del sonno notturno che provocherebbe, a volte, un rischio maggiore di incorrere nella demenza: a dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network dal titolo Associazione tra perdita di sonno a onde lente e demenza incidente realizzato da ricercatori americani, australiani e canadesi delle Università del Texas e Massachusetts.

Cosa sono le onde lente

La maniera più conosciuta di chiamare le onde lente è la classica “fase Rem”, ossia la condizione in cui le onde cerebrali iniziano a diminuiscono fino a quando non si raggiunge il sonno più profondo quando anche la respirazione e i battiti cardiaci rallentano. Questa fase è chiamata “sonno a onde lente” (Sws) o sonno delta, ma perché è importante? Lo studio che ha preso in esame 346 partecipanti del Framingham Heart Study, ha messo in evidenza che la percentuale di sonno a onde lente diminuisce con l’avanzata dell’età e aumenta l’associazione con l’incidenza della malattia. “La perdita di sonno a onde lente può essere un fattore di rischio di demenza“, hanno spiegato gli studiosi.

L’importanza del sonno profondo

Il prof. Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, al Corriere della Sera ha spiegato il significato dello studio pubblicato dai suoi colleghi: il sonno profondo è “fondamentale per rimuovere i cataboliti del metabolismo cerebrale e per consolidare la memoria e le funzioni cognitive”. Prima di questo studio si sapeva che avere un’insonnia cronica a partire dai 50-70 anni era associata a un aumento del 30% di rischio demenza che si manifestava più avanti negli anni. Lo studio, però, ha messo in mostra con maggiore precisione che questa incidenza è pari al 27%. “Dato che per questa grave malattia ancora non esiste una cura davvero risolutiva – commenta Padovani – eliminare i disturbi del sonno, che possono invece essere trattati, aiuterebbe a ridurre la temibile quota di 153 milioni di dementi prevista nel mondo per il 2050″.

I trattamenti

Gli anziani devono quindi rivolgersi agli specialisti per il loro sonno notturno perché “le alterazioni del sonno precedono la demenza e non viceversa: ciò può essere utile perché instaurare trattamenti che assicurino un riposo notturno di buona qualità e quantità può rallentare la disfunzione cognitiva in genere e la stessa malattia di Alzheimer”, conclude Padovani. Nella demenza è coinvolto direttamente il nostro sistema immunitario che segue uno schema diurno-notturno ben preciso: se durante il giorno assistiamo a un aumento delle cellule immunitarie, di notte sono più elevati i livelli di citochine e immunoglobuline: quando la qualità del sonno è scarsa, ecco che questo meccanismo viene alterato favorendo l’insorgere di malattie neurodegenerative.

Un buon sonno per qualità e durata diventa anche un vaccino efficace contro le malattie infettive“, ha spiegato al quotidiano il prof. Liborio Parrino, direttore dell’Unità di Neurologia e del Centro di Medicina del sonno dell’Università di Parma. “In un altro studio dei ricercatori dell’Università della California si è visto che chi dorme poco e male è molto più soggetto a raffreddori e sinusiti rispetto a chi invece riposa adeguatamente”, ha aggiunto.

I benefici dell’avere un cane

Uno studio giapponese condotto dall’Istituto metropolitano di geriatria e gerontologia di Tokyo pubblicato negli ultimi giorni ha messo in luce che i proprietari di un cane riducono del 40% il rischio di soffrire di demenza senile in vecchiaia, un’eventualità che è più complicata per i proprietari di gatti. Lo studio ha preso in esame oltre 11mila persone tra 65 e 84 anni: i ricercatori hanno visto che soltanto lo 0,6% di loro ha sviluppato demenza tra il 2016 e il 2020, lo 0,98% dei proprietari dei gatti e l’1% per coloro che non possedevano nessuno dei due animali domestici.

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