Negli ultimi dieci anni la musica leggera ha eliminato molte barriere. I generi non esistono quasi più, la ritualità e la frequenza delle pubblicazioni è stata pressoché smontata e persino gli stessi rapporti di mercato tra artisti si è evoluto. La radio – che della musica è da sempre uno dei volani principali – è invece rimasta pressoché identica, soprattutto nei network. Sono nati e si sono sviluppati canali tematici (Radiofreccia è l’esempio più eclatante e meglio riuscito) ma i palinsesti delle radio nazionali non hanno sostanzialmente cambiato approccio. Il risultato è che tutte trasmettono più o meno le stesse canzoni degli stessi artisti. Si chiama «radio di flusso» che è il contrario della «radio di programmi» o della «talk radio». Il vantaggio della radio di flusso è di garantire la trasmissione continuamente aggiornata dei brani di pop più venduti o ascoltati. Ma nell’epoca dello streaming, che consente un accesso immediato e quasi gratuito a qualsiasi brano, questa garanzia diventa ogni giorno più superflua, specialmente per gli ascoltatori under 30 che garantiscono il futuro di questo media. Forse è il caso che la radio cambi musica. O, quantomeno, torni a selezionarla davvero. È il momento che, quando il formato lo richiede, gli «speaker» tornino a fare i deejay, ossia i selezionatori che, nell’ambito di una linea editoriale, scelgono brani meritevoli di essere segnalati e spiegati all’ascoltatore. Non devono per forza essere canzoni sconosciute di autori di nicchia, basta scegliere altri brani degli autori più popolari. Insomma, per tornare a essere «opinion leader», la radio deve tornare a fare opinione.