Circa due miglia a nord-ovest di Punta Eolo, sepolto nel mare cristallino che divide Ponza da Ventotene, giace ancora il relitto del piroscafo Santa Lucia, affondato in un raid aereo alleato la mattina del 24 luglio del 1943 dopo essere salpato per quello che sarebbe stato suo ultimo viaggio da una delle più belle isole del Mediterraneo. Nessuno a bordo poteva immaginare un così tragico epilogo per il “tram di Ponza“, come era stato ribattezzato dagli isolani che per mezzo di quella vecchia nave postale si ricongiungevano al continente tanto vicino d’essere a portata di occhio nelle giornate terse.
Il giorno precedente, 23 luglio, un raid dei bombardieri inviati dagli Alleati aveva già abbondantemente terrorizzato i passeggeri provenienti da Gaeta mentre sbarcavano sulla piccola Isola di Santo Stefano. Erano americani, B-17, “fortezze volanti” che dopo aver colpito obiettivi militari sul continente, facevano ritorno alle loro basi in Nord Africa. Sganciarono da quota elevata le bombe rimaste. Una routine che poteva esser motivata dal voler viaggiare più leggeri e dal non voler rischiare di saltare in aria all’atterraggio solo per aver mancato il bersaglio al momento giusto. Ma c’è anche chi motivava l’atto con la volontà di provocare il panico tra i civili. E chi ricorda, come Raffaele La Capria nel suo romanzo Ferito a morte, quanto spesso la moria di pesci provocata dalle esplosioni si tramutasse in manna per i napoletani che accorrevano a raccoglierli a nuoto o con piccole barche a remi. Un’altra versione motivò l’attacco a vuoto come risposta al “fuoco intimidatorio” delle batterie contraeree dell’isola di Ponza: sufficiente a spingere comandanti e puntatori ad abbandonarsi ad una risposta approssimativa con gli armamenti residui.
Fatto sta che l’evento portò il panico a bordo e nelle isole collegate dal Santa Lucia, piroscafo da 452 tonnellate di stazza riconvertito nel 1940 a dragamine della Regia Marina, poi convertito ancora a nave per il servizio civile pur mantenendo il cannoncino da 76mm e il suo servente. Posta agli ordini del capitano di lungo corso Cosimo Simeone, la nave era arrivata sana e salva sull’Isola di Ponza nel pomeriggio di quello stesso giorno. Certa di essersela vista brutta ma d’averla scampata.
Un tragico errore
Il giorno seguente, quel tragico 24 luglio, si temevano nuove incursioni aeree alleate. Da Gaeta nessuna risposta era pervenuta alla richiesta di indicazioni via radio, dunque, nonostante la possibilità di incrociare nuovamente la rotta di aerei nemici, il piroscafo salpò alle 8.00 del mattino dal porto di Santa Maria. Portava 2 ore di ritardo e aveva a bordo con se 76 anime; 59 passeggeri, tra cui molti militari in congedo, e 15 membri dell’equipaggio compreso il comandante Simeone.
Alle 10.08, quanto il Santa Lucia era al largo di Ventotene, i passeggeri udirono distintamente il rombo in sincrono degli aerei che sarebbero stati identificati solo in un secondo momento come Bristol Beaufighter Mk X del 47esimo Squadron della Royal Air Force. Un tipo di aerosilurante impiegato dagli inglesi nella guerra antinave, con due motori e due membri d’equipaggio.
Decollati dalla base di Protville, non distante da Tunisi, i cinque aerosiluranti volavano a pelo d’acqua e provenivano da Punta dell’Arco con il sole alle spalle in quella che si sarebbe rivelata essere una manovra d’ingaggio: volevano attaccare il piroscafo.
Dopo essere stati avvistati da un marinaio di guardia a dritta, venne impartito l’ordine ai passeggeri di rifugiarsi sottocoperta, nel salone di terza classe, mentre il comandare Simeone, dopo aver comunicato per radio l’attacco imminente, ordinava di virare a dritta per avvicinarsi il più possibile all’Isola di Ventotene. Il primo aereo nemico si esibì in un ampio giro e portando il primo attacco da dritta con le sue mitragliatrici. Secondo quanto riportato dagli osservatori, Simeone tentò di eludere l’attacco con brusche e continue accostate, ma a nulla valse considerata la potenza di fuoco dei cacciabombardieri inglesi che contavano 6 mitragliatrici e 4 cannoncini da 20mm. A bordo i colpi vaganti che alzavano alti zampilli d’acqua prima di abbattersi come una grandinata d’acciaio sul ponte di legno e sulle vetrate del Santa Lucia, iniziarono a mietere le prime vittime.
Il secondo passaggio fu la volta dei siluri. La posizione ottimale del capo formazione – riportante la lettera Q sulla fusoliera – sganciò il primo siluro che mancò di poco l’obiettivo. Seguirono ancora raffiche di mitragliatrice e lo sganciamento di un secondo siluro da parte dell’aereo gregario che lo seguiva nell’attacco. Anche il secondo siluro andò a vuoto. Ma la terzo passaggio una raffica centrò in pieno timoniera lasciando l’imbarcazione priva di controllo e leggermente sbandante verso dritta. L’esplosione scaraventò il comandante Simeone fuori bordo. Fu allora la volta di un altro aereo della formazione, che sganciò il terzo siluro. Andato a segno, il siluro rilasciato dalla pancia del Beaufighter sventrò la nave nel suo centro sinistro provocando una devastante esplosione. Ci vorranno appena 28 secondi perché il Santa Lucia si inabissi a circa due miglia da Ventotene.
Altiero Spinelli, allora confinato sull’isola e testimone dell’accaduto, riporterà l’evento citando la presenza di una seconda imbarcazione della Marina militare tedesca: “Vedemmo il siluro staccarsi dall’aereo, entrare nell’acqua e comprendemmo che era passato accanto alla nave tedesca senza averla toccata. Il pilota inglese, avendo un secondo siluro, iniziò la ripetizione della manovra. Ma nel frattempo da dietro lo stesso promontorio dal quale era venuto poco prima il caccia spuntò il Santa Lucia“. Una testimonianza importante per “contestualizzare” il tragico errore della spietata casualità della guerra.
La voce su Mussolini
I soccorritori che giunsero sul posto a bordo di piccole imbarcazioni recuperarono solo cinque superstiti. Tra questi era il comandante Simeone, che morì per le ferite riportate due giorni dopo, il mozzo Luigi Ruocco, il motorista Francesco Aprea che si salvò gettandosi in mare mentre gli aerei si lanciavano all’attacco, il carabiniere Vincenzo Moretti e il fante in congedo Fernando Capoccioni. Tra le navi impiegate per i soccorsi, venne segnalata la presenza di una motozattera tedesca scampata all’attacco portato degli stessi aerei che avevano affondato il Santa Lucia. La notizia dell’affondamento venne subito diffusa: “..il Piroscafo S. Lucia è stato affondato da aerei inglesi presso Ventotene. Recuperate cinque persone“, ripetevano i notiziari radio. L’isola di Ponza rimase isolata per diversi giorni.
Ma ciò che più segnò l’evento dei giorni a venire, fu la teoria secondo cui un attacco “tanto accurato e insistente” portato a un naviglio privo di rilevanze, che non aveva sparato nemmeno una bordata con quel suo modesto armamento in risposta all’avversario, doveva essere legata a una falsa notizia portata ai servizi segreti britannici da una fonte anonimia di Ischia. Essa comunicava che il duce Benito Mussolini si sarebbe trovato a bordo di quell’imbarcazione dopo essere stato sollevato dal suo incarico e arrestato per volere del Re d’Italia. Diretto al carcere di Ventotene il mattino dell’attacco, gli inglesi potevano aver lanciato i loro aerei a caccia della nave che trasportava il Duce al confino commettendo un grave errore.
Come è noto Mussolini verrà condotto sì a Ponza, ma solo il 28 luglio del 1943 e a bordo della corvetta Persefone. Salpata da Gaeta il 27 luglio, la nave militare diretta al carcere di Santo Stefano, isola di fronte a Ventotene, giungerà a Ponza dopo aver accolto le rimostranze del direttore del carcere dopo lo stesso Mussolini aveva confinato i suoi oppositori politici: non garantendo la sua incolumità. A Ponza Mussolini rimarrà 10 giorni per essere poi tradotto sull’Isola della Maddalena e a Campo Imperatore – dove verrà liberato da paracadutisti tedeschi per diretto volere di Hitler nel corso dell’Operazione Quercia.
“Nelle dieci giornate che vissi a Ponza potei scambiare qualche parola soltanto con il tenente colonnello Meoli, con il sottotenente Di Lorenzo e col Maresciallo Antichi. Con loro facevo qualche partita a carte e sotto la loro sorveglianza mi era permesso fare qualche bagno in mare in un punto assolutamente isolato e praticamente inaccessibile“, dichiarerà il duce intervistato dopo il suo soggiorno sull’isola pontina, trascorso per gran parte in un palazzo a due piani in località Santa Maria (per i curiosi, l’attuale Pensione Silvia, ndr).
La tesi più avvalorata riguardo il raid che portò all’affondamento ingiustificato del Santa Lucia, resta quella di una missione di routine che individuato una nave di media stazza con un livrea grigio militare, armato seppure di un solo cannoncino risalente alla sua precedente mansione e in prossimità di naviglio tedesco, decise di aprire il fuoco provocando una strage. Il relitto del Santa Lucia venne individuato dal sommozzatore Raimondo Bucher nel 1959. Diviso in due tronconi, quello di poppa e quello di prua, alle coordinate che conosciamo. Ogni anno l’affondamento viene ricordato con cordoglio dalla popolazione ponzese.