Durante la presentazione di Maestro, il 2 settembre scorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il regista, scrittore, produttore e attore protagonista del film, Bradley Cooper, non era presente. Così come non c`era Carey Mulligan, che nel film porta in scena Felicia Montealegre, attrice e moglie del maestro Leonard Bernstein al quale la pellicola è dedicata. In sala però, durante quella prima proiezione c`erano i figli di Bernstein e Felicia: Jamie, Alex e Nina. I tre, durante i crediti finali si sono alzati in piedi e hanno iniziato a muovere le mani a tempo di musica, imitando i gesti che loro padre, il direttore d`orchestra statunitense più famoso di sempre, avrebbe eseguito.
Abbiamo incontrato Cooper a Hollywood, durante una presentazione alla critica – a sciopero finito – del film, in uscita su Netflix il 20 dicembre. «Mi spiace molto – ha detto l`artista nato in Pennsylvania il 5 gennaio del 1975 – non essere stato presente a Venezia. Abbiamo scelto di non andarci a causa dello sciopero, ma ho seguito la cosa da Los Angeles. Diverse persone mi mandavano video dall`evento. Vedere i figli di Bernstein che si divertivano, sapere che avevano apprezzato il film, per me e per tutto il cast è stato davvero incredibile. Una sensazione migliore di quando si sale su un palco e si riceve un applauso».
La biopic sulla vita del compositore statunitense nato nel 1918 e morto nel 1990, che fra i vari riconoscimenti in carriera vanta sette Emmy e ben sedici Grammy Awards, è stata una vera sfida per Cooper il quale, oltre a dirigere il film di cui è anche co-scrittore insieme a Josh Singer, ha trasformato il proprio corpo e la propria voce per interpretare il maestro nel corso dei decenni. «Sin da bambino mi sono divertito a fare finta di dirigere delle orchestre immaginarie. Era uno dei miei giochi preferiti, ma non conoscevo veramente Bernstein. Ho saputo che Steven Spielberg possedeva i diritti sulla sua storia e io, che non mi sarei mai sognato di scrivere e dirigere un film, gli ho chiesto se potevamo lavorare insieme a quel progetto, io avrei fatto l`attore e Spielberg il regista. Poi, dato che lui stava lavorando, pensate che coincidenza, a West Side Story proprio con le musiche di Bernstein, mi ha convinto a scrivere e dirigere il film. Ho iniziato a fare ricerche per capire quale tipo di lavoro avrei potuto creare. Così ho scoperto Leonard e Felicia, lui musicista e lei attrice, una coppia davvero speciale, diversa da quelle che siamo abituati a leggere nei libri di storia. In più c`era l`enorme potenza della sua musica. Come per A Star is Born, in cui lavoravo con la bravissima Lady Gaga, mi sono trovato a pensare: queste musiche sono talmente belle che l`unico modo per cui questo film può andare male che io non faccia un buon lavoro. Va anche ricordato che tutto questo non sarebbe stato lo stesso senza il grandissimo lavoro di Carey Mulligan che porta in scena Felicia in modo magistrale».
Non è da tutti riuscire a scrivere, produrre, dirigere e interpretare un film, mantenendo sempre la massima concentrazione, soprattutto se si tratta di un`opera sulla vita di un uomo realmente esistito, amato da milioni di persone per la sua arte. «Quando abbiamo iniziato, sei anni fa, ero terrorizzato – confessa l`interprete nominato nove volte agli Oscar – perché anche soltanto ricreare la sua vocalità così particolare, nasale, è stato un lavoro enorme. Mi riascoltavo e mi sembrava di essere lontanissimo dalle sue tonalità. Ci ho lavorato duramente per anni, ho cominciato a studiare le voci di Leonard ancora prima che uscisse A Star is Born. Il mio vocal coach Tim Monich, con il quale avevo lavorato già per American Sniper, A Star is Born e Nightmare Alley, si è praticamente trasferito nella mia casa di New York. Provavamo per diverse ore ogni giorno unicamente per trovare quella voce e renderla qualcosa di organico e naturale. Il tutto mentre io indossavo, come nel film, un grosso naso finto, per somigliare ancora di più al maestro».
A proposito delle polemiche scaturite a Venezia proprio a causa di quel naso finto, quando parte del pubblico ha descritto il trucco di Cooper con il termine jewface, alludendo alla caratterizzazione esagerata dei tratti somatici tipici degli ebrei, l`attore e regista dice: «Ho anche pensato di non usarlo, ma è tutta una questione di equilibrio. Le mie labbra non somigliano per niente a quelle di Bernstein e neanche il mio mento, dovevamo creare la somiglianza. Semplicemente, senza quella protesi non ci sembrava il viso giusto».
Nel film c`è una scena in particolare, un concerto nella cattedrale di Ely in Inghilterra, che rimane impressa negli occhi dello spettatore. «Quella per me – ricorda l`attore e regista – è stata una delle cose più difficili da fare. Ho diretto dal vivo la London Simphony Orchestra in un luogo epico. Se avessi sbagliato quella scena, l`intero film avrebbe perso di significato, perché tutti avrebbero pensato che in fondo Bernstein non era un grande direttore d`orchestra. Per fortuna avevo al mio fianco Gustavo Dudamel e Yannick Seguin, che mi hanno seguito per anni. Ho guardato dei video del vero concerto negli anni `70, ma anche così ci ho messo un po` di tempo. Vi assicuro che dirigere alcuni fra i più bravi musicisti al mondo non è stato affatto facile, ma è anche stata un`esperienza indimenticabile».