occherà ad altri elogiare o biasimare Henry Kissinger per ciò che ha fatto – e per ciò che non ha fatto -, in particolare per il colpo di Stato in Cile con cui fu rimosso lo spregiudicato presidente di sinistra Salvador Allende. Un golpe innescato da uno sciopero dei camionisti che paralizzò il Paese e costrinse i riluttanti generali a prendere il potere. Come la maggior parte dei cileni, Kissinger accolse con favore il golpe, ma non influenzò né i camionisti né i generali, e certamente non fece nulla per rovesciare Allende. Tuttavia, grazie a migliaia di accademici statunitensi che insegnavano queste falsità come verità nei loro corsi, Kissinger dovette semplicemente convivere con questa calunnia.
Invece di biasimarlo o elogiarlo, io mi limiterò a ricordi personali. Nell’autunno del 1972, poco dopo essere arrivato negli Stati Uniti per un dottorato breve alla Johns Hopkins University (avendo già 27 anni, sposato e con un figlio, non avevo tempo da perdere), un vecchio conoscente londinese, l’eminente storico Walter Laqueur, originario di Wroclaw (la vecchia Breslavia), mi presentò il suo caro amico Helmut Sonnenfeldt di Berlino. Costui all’epoca era figura di spicco del Consiglio di Sicurezza Nazionale, guidato da Henry Kissinger, originario di Fürth, in Baviera. Quando Kissinger divenne il secondo Segretario di Stato del presidente Richard Nixon, il 22 settembre 1973, Sonnenfeldt, allora noto come «il Kissinger di Kissinger», divenne proprio questo: con la nomina a Counselor assunse un ruolodel tutto analogo al «consigliere» delle famiglie mafiose di fantasia (mai sentito questo termine in Sicilia, dove sono cresciuto). Mentre il compito del Segretario di Stato è quello di proteggere gli Usa dagli avversari stranieri, il compito del Consigliere è quello di proteggere il Segretario di Stato dai burocrati annidati negli altri dipartimenti del governo, ma soprattutto dai funzionari dello stesso Dipartimento di Stato.
Il fatto che Laqueur condividesse la passione irrefrenabile di Sonnenfeldt e Kissinger per il calcio o, più precisamente, per le squadre di calcio della Bundesliga tedesca, costituiva un ulteriore legame fra i tre ebrei tedeschi. Una passione che io, pur essendo assistente di Laqueur e di lingua tedesca, non condividevo. Sebbene Kissinger non amasse conversare in tedesco, gli piaceva molto usare espressioni tedesche meno traducibili come Hochstapler, più o meno sta per imbroglione, e Betrüger, impostore, ingannatore. Questo dettaglio non sminuisce certo l’enorme successo strategico di Kissinger – che ha messo all’angolo l’Urss quando era all’apice della sua potenza e gli Stati Uniti al massimo della loro debolezza in Vietnam, trasformando la Cina da nemico strategico ad alleato strategico -, ma è interessante notare come proprio lui fosse un bugiardo abituale, anzi compulsivo.
Questo tratto era talmente connaturato alla sua personalità, che Kissinger non prese alcun provvedimento contro Sonnenfeld quando quest’ultimo – in un momento di follia – affermò che Kissinger mentiva quando era necessario, ma anche per tenersi in allenamento prima della successiva occasione in cui avrebbe dovuto mentire di nuovo per il suo Paese. O per se stesso.
Una vittima delle sue menzogne – tutte per una buona causa- fu James R. Schlesinger, stratega della Rand Corporation nell’ottobre 1973 Segretario alla Difesa di Nixon e con il quale iniziai presto a lavorare gomito a gomito (nel cosiddetto Immediate office). L’accordo di lavoro, perfezionato dal brillante assistente speciale di Schlesinger, l’ufficiale dei Marines, saggista e romanziere Francis «Bing» West, era assai precario: ero in possesso di un visto da studente, senza autorizzazioni di sicurezza, ma al corrente di tutto.
Nell’ottobre 1973, un Israele molto più piccolo e molto più debole stava combattendo per la sua sopravvivenza contro Egitto e Siria, dopo essere stato sorpreso dalle loro offensive simultanee iniziate il 6 ottobre 1973 (l’ottimismo è una grande virtù per far crescere un Paese dal nulla, ma un terribile difetto per gli agenti dei servizi segreti, come ci siamo accorti il 7 ottobre scorso).
Avendo l’Unione Sovietica fornito migliaia di pezzi di artiglieria e carri armati agli eserciti egiziano e siriano, gli israeliani, in forte inferiorità numerica, avevano urgente bisogno di rifornimenti, anzi di un grande ponte aereo.
Schelsinger ordinò subito al comando dell’aviazione Usa di iniziare a far convogliare, presso la base aerea di Dover, sia gli aerei da trasporto, sia i carichi prioritari concordati con Israele. Ma Nixon non diede il via libera: non voleva scatenare un embargo petrolifero arabo. Invece di discutere le ragioni di Israele con Nixon, come avrebbe dovuto fare un bravo ragazzo ebreo, Kissinger volle fare il bravissimo ragazzo ebreo, ritardando il ponte aereo di pochi giorni, in modo che l’Egitto potesse godersi la vittoria iniziale prima dell’inevitabile controffensiva, così da aumentare le possibilità di una «pace dei coraggiosi», invece di una ripetizione della schiacciante vittoria del 1967. I calcoli di Kissinger si rivelarono esatti nel dettaglio e la pace da lui architettata con lo strategico ritardo delle forniture a Israele è durata mezzo secolo.
Ma in quei giorni roventi dell’ottobre 1973, per l’ex rifugiato ebraico Kissinger era fonte di enorme imbarazzo ritardare il ponte aereo di cui Israele aveva un disperato bisogno. Così fece circolare la voce che fosse il Segretario alla Difesa James R. Schlesinger a bloccarlo, perché riteneva il petrolio arabo più importante di Israele. Quando Nixon ordinò il ponte aereo, non potendo resistere alle suppliche di Golda Meir, giganteschi C-5 carichi di tutto il necessario decollarono dalla base aerea di Dover, dimostrando così in modo inequivocabile che Schlesinger, lungi dal tirarla per le lunghe, si era dato da fare per mettere insieme aerei e carichi, risparmiando così diversi giorni. Ma ormai la bugia di Kissinger era diventata la verità di Washington.
Quella menzogna ebbe gravi conseguenze e rese Schlesinger impopolare, tanto che un piccolo intrigo fu sufficiente a convincere il presidente Gerald Ford a licenziarlo nel 1975. Una decisione molto dannosa, perché i profondi tagli di bilancio del Congresso, causati dall’estremo disagio per la guerra in Vietnam, stavano paralizzando le forze armate, e Schlesinger si stava impegnando al massimo per mantenere almeno alcune navi da guerra e alcuni stormi aerei operativi così da evitare lo sfaldamento dell’Esercito, messo a dura prova dal Vietnam. Ciò richiedeva la conoscenza dettagliata e approfondita di un analista professionista, un talento che Schlesinger possedeva a pieno e che purtroppo è mancato al suo successore Donald Rumsfeld.
Quando Walter Laqueur e io scrivemmo un articolo che ristabiliva la verità sui fatti dell’ottobre 1973, Kissinger non si irritò seriamente, si limitò a definirci partner in crime: complici. Ma il litigio tra Kissinger e Schlesinger riguardava qualcosa di più del ponte aereo del 1973: la distensione con l’Urss, a cui Schlesinger si opponeva con forza e che era la politica principale di Kissinger. Una strategia che avrebbe avuto il suo culmine con il vertice di Vladivostok tra Leonid Brezhnev e il presidente Ford, nel novembre 1974, in cui le due parti si sarebbero finalmente accordate su un «uguale numero complessivo» di testate per missili balistici intercontinentali e per missili balistici lanciati da sottomarini.
Cosa ancora più importante, le due parti concordarono di gestire insieme tutti i conflitti (verso la fine dell’ottobre 1973, la guerra era stata sul punto di degenerare in un allarme nucleare quando Breznev aveva minacciato di inviare divisioni aeree per fermare la contro-avanzata degli israeliani verso il Cairo).
Il vertice di Vladivostok fu l’apoteosi di Kissinger. Suggellò la sua politica di distensione con l’Unione Sovietica e durante gli incontri fu del tutto evidente che Leonid Brezhnev si affidava alla guida di Kissinger più di quanto non si affidasse al suo stesso ministro degli Esteri Gromyko, ormai al diciottesimo anno di mandato e ridotto all’ombra di se stesso. Era altrettanto ovvio che Ford non fosse all’altezza del compito e della situazione e che Kissinger gli suggerisse cosa fare e dire a ogni passo. Considerando inoltre che entrava e usciva da Pechino a suo piacimento, nei suoi ultimi giorni di mandato Kissinger sembrava essere l’uomo di Stato del mondo, e non un semplice Segretario di Stato americano.
Ma Vladivostok fu anche la sua rovina. Prima ancora che il successivo presidente Jimmy Carter rinnegasse tutte le sue politiche, insistendo sui diritti umani e precludendo così la distensione con Mosca e l’amicizia con Pechino, lo stesso Ford dovette promettere che non avrebbe riconfermato Kissinger se fosse stato rieletto: il contraccolpo generato nell’opinione pubblica per i suoi buoni rapporti con i peggiori dittatori del mondo era troppo forte…
In seguito, Kissinger ha mantenuto i contatti con me e con molti altri, inviandomi ogni articolo che scriveva (l’ultimo solo una settimana fa, una lettera sui pericoli e le promesse dell’intelligenza artificiale scritta insieme all’ex professore di Harvard Graham Allison). Ma quando ci incontravamo occasionalmente, per lo più in qualche cena a Manhattan, evitava qualsiasi tema serio. Era un altro Kissinger: una figura mondana amante dei pettegolezzi, che non parlava mai della sua Kissinger Associates, una vera macchina da soldi, o di qualsiasi altro argomento importante. Mi meravigliavo della sua capacità di trascorrere ore e ore con quelle anime frivole d’alto bordo che dominavano la vita sociale di New York, ma evidentemente gli piaceva la loro compagnia.
Il fatto che sia morto all’età di 100 anni è più straordinario di quanto molti possano immaginare. Ero in stretto contatto con lui poco prima e subito dopo il suo intervento di quadruplo bypass nel febbraio 1982, quando il suo chirurgo gli aveva dato solo altri dieci anni di vita…