Dopo l’accusa di fascismo, ecco quella delirante riguardante l'”alleanza con la mafia”. A utilizzare queste testuali parole contro Giorgia Meloni è stato Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, il quale è riuscito pure a tirare in ballo la figura di Paolo Borsellino pur di insultare il presidente del Consiglio. L’occasione per riversare questo incredibile carico di bile sulla premier è stata la presentazione del libro “La sciagura”, scritto da Andrea Scanzi per Paper First, la casa editrice de Il Fatto Quotidiano. Lo storico dell’arte fiorentino era in collegamento insieme al giornalista aretino e a Luca Sommi, che moderava il dibattito a distanza tra i due.
Prendendo spunto da un passaggio del libro di Scanzi, Sommi ricordava a Montanari che uno dei motivi che spinse la Meloni a impegnarsi in politica fu la morte del magistrato Borsellino, ucciso da un attentato dinamitardo il 19 luglio 1992 a Palermo, in via D’Amelio, per mano di Cosa nostra. In quella strage persero la vita anche gli uomini della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima agente donna a restare uccisa in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. Giorgia Meloni, che aveva da poco compiuto 15 anni, decise di aderire al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile alla quale era iscritto lo stesso Paolo Borsellino e alle cui feste il magistrato aveva partecipato fino al 1990. Il presidente del Consiglio ha spesso voluto ricordare in passato come l’immagine della devastazione di via D’Amelio l’avesse spinta a mobilitarsi: decise così di bussare alla sezione dell’allora movimento giovanile del Msi, soprattutto perché voleva combattere contro la mafia. E la lotta alla mafia è rimasta un caposaldo della sua storia politica, come è stato anche dimostrato dal suo primissimo provvedimento alla guida del governo: la conferma dell’ergastolo ostativo.
Montanari, invece, stravolge completamente la storia: prende la parola e getta inutilmente fango sulla biografia della leader di Fratelli d’Italia. “Lei è scesa in politica per commemorare la memoria di Paolo Borsellino? È una versione vergognosamente falsa: è scesa semmai in politica per finirlo, se fosse stato ancora vivo, per distruggerne la memoria“, è l’affondo del rettore universitario. Il professore cita vecchie sentenze su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per poi conclude la sua riflessione in questo modo: “Cioè, tu scendi in politica per onorare la memoria di Borsellino e ti allei con la mafia, mi pare che non faccia una grinza nella logica, proprio“.
Insomma, nel giro di una decina di secondi Tomaso Montanari è riuscito – per quanto si dirà che si trattava di una provocazione – a offendere il presidente del Consiglio in carica, mentendo spudoratamente sulle proprie scelte di vita che l’hanno portata a svolgere un’attività pubblica partendo dal basso, e a sfregiare un’icona indiscussa come il magistrato palermitano, che venne ucciso per ordine di Matteo Messina Denaro. E non di Giorgia Meloni.