Il viaggio a Pechino per disinnescare le tensioni tra Stati Uniti e Cina, nella sua ultima trasferta intercontinentale degna di nota. Il cambio d’idea sull’Ucraina passando, nel giro di pochi mesi, dal chiedere per Kiev la neutralità e suggerirle di accettare la pace in cambio di concessioni territoriali a Mosca, a sostenere il suo ingresso nella Nato. Infine, una delle ultime apparizioni pubbliche risalente allo scorso ottobre per parlare della guerra dello Yom Kippur e un’intervista rilasciata alla tv tedesca in merito al conflitto tra Hamas e Israele. Sono questi i dossier maneggiati da Henry Kissinger prima della sua morte, avvenuta all’età di 100 anni nella sua casa in Connecticut.
Kissinger e la questione israeliana
Un mese fa Kissinger era stato invitato dal Council on Foreign Relations, a New York. Davanti ad una sala gremita in ogni ordine di posto, era stato intervistato da Martin Indyk, ambasciatore americano in Israele tra il 2000 e il 2001. L’ex segretario di Stato Usa ha parlato della guerra dello Yom Kippur ricordando ogni dettaglio, seppur evidentemente vessato dall’età e dalla stanchezza. Le parole uscivano lente dalla sua bocca, con voce vacillante, ma la memoria era di ferro.
Due giorni dopo quest’uscita, Hamas avrebbe sferrato un blitz senza precedenti contro Israele. Kissinger si era quindi espresso sulla questione, intervistato dalla tv tedesca. Gli era stato chiesto come avrebbe dovuto reagire la comunità internazionale. A detta del “Machiavelli d’America” c’era bisogno di “qualche sanzione” per l'”atto aperto di aggressione” del gruppo filo palestinese.
“Certo, il primo istinto è quello di riportare la pace, ma non si possono fare concessioni a persone che hanno dichiarato e dimostrato con le loro azioni che non possono fare la pace“, aveva dichiarato. Nella sua ultima intervista, Kissinger ha quindi lanciato una profezia nefasta: il conflitto tra Hamas e Israele potrebbe finire per coinvolgere il resto del mondo arabo nei combattimenti. “Rischia di intensificarsi e di coinvolgere altri paesi arabi sotto la pressione della loro opinione pubblica“, sottolineava, citando l’attacco di Egitto e Siria a Israele durante la guerra del 1973.
Il cambio di passo sull’Ucraina
Kissinger, maestro della realpolitik, aveva recentemente cambiato idea sull’Ucraina. Nei mesi scorsi, in un’intervista concessa alla Cbs in occasione del suo compleanno, era tornato a parlare di Kiev e del profilarsi di una svolta negoziale che lui considerava imminente, grazie al coinvolgimento della Cina. “Ora che la Cina è entrata nei negoziati, ne verremo a capo penso entro la fine dell’anno, parleremo di un processo negoziale e persino di veri e propri negoziati“, diceva l’ex segretario di Stato, che si era detto anche disponibile, su richiesta di un presidente, a volare a Mosca per parlare con Vladimir Putin. “Sarei propenso a farlo, ma lo farei come consigliere e non come persona attiva“, spiegava.
La prima volta che Kissinger aveva sottolineato la necessità di avviare “negoziati di pace entro i prossimi due mesi prima che si creino tensioni che non si potranno superare facilmente“, durante un intervento a Davos nel maggio del 2022, aveva provocato un’alzata di scudi da parte di Kiev.
Kissinger consigliava di “tornare allo status quo ante“, con la Russia che avrebbe dovuto lasciare i territori occupati dal 24 febbraio “ma non quelli occupati quasi dieci anni fa, compresa la Crimea“. Lo scorso gennaio ecco il cambio di passo: Kiev sarebbe dovuta entrare nella Nato. “Prima di questa guerra io temevo che da questo ingresso potesse iniziare esattamente il processo a cui noi stiamo assistendo, ma ora l’idea di un’Ucraina neutrale in queste condizioni non ha più senso“, le parole dell’alto funzionario statunitense.
Il viaggio in Cina
Xi Jinping lo ha ospitato con gli onori con i quali si accoglie “un vecchio amico del popolo cinese“. A luglio, Henry Kissinger era volato a Pechino per una visita privata. L’ex segretario di Stato Usa aveva incontrato il leader cinese presso la Diaoyutai State Guesthouse, un complesso diplomatico situato nella parte occidentale della capitale, dove era stato ricevuto anche durante la sua prima visita nel 1971.
Kissinger ha avuto colloqui anche con Wang Yi, il direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del Partito Comunista Cinese, e Li Shangfu, ministro della Difesa oggi rimosso dal suo incarico. Il senso di questa estenuante trasferta? Capire meglio il pensiero della leadership cinese e condividere le sue impressioni con il governo Usa, per contribuire a distendere i tesissimi rapporti tra Washington e Pechino. Missione che sarebbe riuscita alla grande, visto il seguente incontro tra Joe Biden e Xi Jinping.