Dunque siamo di nuovo nella fase del «dagli all’untore». Il combinato disposto di fatti di cronaca (l’arresto di alcuni trapper, la spaventosa quantità di femminicidi) e della pubblicazione o della riscoperta sempre più frequente di testi violentemente misogini porta molti a chiedere un intervento, magari una censura. Come se quei testi fossero una causa e non uno specchio nel quale si riflettono gravi disagi che investigatori o psicologi sanno spiegare molto bene e che nella musica trovano al massimo una valvola di sfogo e non un detonatore.
Sono situazioni che, per dirla con Edoardo Bennato, «stancamente si ripetono senza tempo». In una società liberale, chiunque ha il diritto di scrivere oscenità e l’eventuale dovere di risponderne giudizialmente, così come chiunque può criticare le oscenità, cosa che, nel caso di tanti testi, specialmente quelli misogini o ciecamente maschilisti, vale la pena fare. Ma poi basta. Come ha detto Caterina Caselli su questo Giornale, la censura non è la via giusta. Dopotutto, quando si è provato a intervenire in questa direzione, il risultato è stato addirittura controproducente.
L’ultimo esempio clamoroso è quello del Pmrc, ossia il Parents Music Resource Center voluto negli Stati Uniti di metà anni Ottanta da Tipper Gore, moglie del futuro vicepresidente Al Gore. Nel 1985 lei aveva regalato a sua figlia undicenne il disco Purple Rain di Prince, salvo poi scoprire un riferimento all’autoerotismo nel brano Darling Nikki. Patatrac. Il comitato nacque per evitare l’esposizione della gioventù a testi che esaltassero sesso, abuso di alcol e droghe o, più genericamente, la violenza. Tra gli inquisiti, Ozzy Osbourne per Suicide Solution, Looks that kill dei Mötley Crüe, Hot for teacher di Van Halen, She bop di Cyndi Lauper, Sugar Walls di Sheena Easton e tanti altri pezzi di Black Sabbath, Vanity, Bon Jovi eccetera.
Sia chiaro, oggi le canzoni sono molto ma molto più clamorosamente esplicite di allora. Però il concetto resta identico. Grazie all’accordo con i discografici della Riia, fu addirittura imposta l’applicazione sui dischi dell’adesivo «Explicit content» in modo da avvisare dei contenuti. Risultato? I crimini non diminuirono, l’adesivo divenne così «cool» che tanti artisti lo volevano in copertina per aumentare le vendite e il rap iniziò massicciamente ad avere testi fuorilegge diventando «gangsta» con brani come Cop killer, assassino di poliziotto, dei Body Count di Ice T. E come andò a finire? Il gigantesco Frank Zappa (che già aveva protestato con Reagan) partecipò all’audizione pubblica in Senato accompagnato da John Denver e Dee Snider dei Twisted Sister e fu visionario come sempre. Se va avanti così, disse, finirà che «il Pmrc imporrà che i membri omosessuali di un gruppo non cantino e non vengano citati sulla copertina di un disco». E poi liquidò tutto con una delle sue battute fulminanti: «È come se si curasse la forfora tagliando la testa». Oggi ci siamo di nuovo, si invocano le ghigliottine senza capire che l’importante non è tagliare teste ma curare finalmente la forfora.